L’art. 12 della legge divorzile 890/70 e successive modifiche così recita: “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze, e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al 40% dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”.

Si è passati da un’epoca in cui le cause di separazione venivano basate sul “difetto di verginità” (negli anni ’50 sul tema venivano scritti tomi di diritto) a situazioni viceversa in cui sono le donne che citano in giudizio gli uomini chiedendo risarcimenti a cinque cifre per il mancato adempimento dei doveri coniugali (al Tribunale di Roma pende una causa promossa da una signora che pretende dal marito, dopo un fidanzamento “normale” sotto il profilo fisico, un mega risarcimento da “inadeguatezza sessuale” durante i successivi cinque anni di matrimonio).

Il diritto della ex moglie a rivolgersi, per l’assegno divorzile, agli eredi del coniuge divorziato è un’ulteriore garanzia introdotta dalla riforma della normativa divorzile del 1978 e mantenuta anche nel testo novellato della legge n° 74/87 che deriva dalla necessità di sopperire alla situazione in cui, con la morte dell’obbligato, la donna perdeva la possibilità di percepire l’assegno periodico.

Il pesante fardello che le imposte omesse portano con sé, come sanzioni, multe e simili, producono cifre che se richieste da un privato porterebbero all’arresto per usura. Inoltre i sistemi di impugnazione, quando i termini non siano già scaduti, sono farraginosi, lunghi, con risultati ottenibili in tempi lunghissimi, mentre di contro il danno, per esempio dell’iscrizione ipotecaria sull’abitazione, perdurando il pregiudizio per tutta la durata dei processi, è irrisarcibile.

Tra le conseguenze patrimoniali derivanti dalla separazione dei coniugi, quella,forse più rilevante per gli interessati è data dall’obbligo di mantenimento a carico di un coniuge ed a favore dell’altro.
Tale diritto eventuale, nel senso che non spetta in ogni caso, è previsto in tema di separazione personale dall’art. 156 del codice civile, che sostanzialmente stabilisce come il giudice, pronunziando la separazione, debba stabilire a vantaggio del coniuge al quale la separazione non sia addebitabile, il diritto di ricevere dall’altro quanto necessario al suo mantenimento qualora egli non abbia adeguati redditi propri.

La legge n° 54/06, oltre che introdurre l’affidamento condiviso, ha risolto una grave lacuna del sistema giudiziario in tema di separazione e divorzio, laddove, allorché il Presidente, alla prima udienza di comparizione dei coniugi, errava nell’assunzione dei provvedimenti provvisori, ben difficilmente era possibile ottenere una modifica per tutta la durata del processo, (anche perché spesso il Magistrato che svolgeva la funzione di Presidente, poi era lo stesso che veniva incaricato dell’istruttoria quindi difficilmente era disposto a riconoscere un proprio errore).

Anche se le differenze tra uomini e donne sono davanti agli occhi di tutti, in realtà i comportamenti dell’uno e dell’altro sesso, appaiono poi al momento in cui il matrimonio e la convivenza non funzionano più, talvolta inspiegabili agli occhi all’altro partner.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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