Nel caso di domanda di divorzio proposta da coniugi che non sono cittadini italiani e che hanno contratto matrimonio nel paese d'origine (nella specie, in India) va affermata la giurisdizione del giudice italiano, in forza del Regolamento Ce del Consiglio n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 "relativo alla competenza, al riconoscimento ed all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale", che trova applicazione a prescindere dalla cittadinanza europea delle parti ed indipendentemente dalle norme sulla giurisdizione previste dal diritto nazionale. Nella fattispecie, la giurisdizione italiana (di carattere esclusivo, ai sensi dell'art. 6 del Regolamento) va affermata a norma dell'art. 3, 1 comma, lett. a), del citato Regolamento Ce n. 2201/2003, il quale fissa il criterio generale della residenza, ed in particolare, nella specifica ipotesi di domanda congiunta , il criterio della "residenza abituale di uno dei coniugi", che sussiste nel caso in esame poiché entrambe le parti risiedono nel territorio italiano.

In tema di divorzio congiunto, la revoca del consenso non è ammissibile quando immotivata e unilaterale. È possibile solo nel caso in cui marito e moglie siano d'accordo o quando uno dei due coniugi sostenga di essere tornato sulla propria decisione perché vittima di violenza, dolo o perché incorso in un errore essenziale.

Ai sensi dell'art. 4 comma 13 l. n. 898 del 1970, in relazione al disposto dell'art. 6 comma 2 della stessa legge, è inammissibile il ricorso congiunto promosso dai coniugi per la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nel caso in cui i figli, con decreto in sede di modifica delle condizioni di separazione tra le parti, siano stati precedentemente affidati al Comune. Il regime di separazione in vigore tra i coniugi, infatti, è destinato a restare caducato a seguito della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio; non è consentito ai coniugi di concordare autonomamente che i figli minori rimangano affidati, anche in sede divorziale, all'Ente pubblico già designato, perché trattandosi di provvedimento limitativo della potestà genitoriale, è, come tale, riservato all'autorità giudiziaria.

La disciplina della domanda congiunta di divorzio recata dall'art. 4, comma 13, l. 1 dicembre 1970 n. 898, come sostituito dall'art. 8 l. 6 marzo 1987 n. 74, rimette al giudice l'accertamento dei presupposti di legge per lo scioglimento del rapporto - attinenti al merito della domanda - verifica da condurre alla stregua della legge nazionale applicabile, laddove la decisione sulla questione, preliminare, circa l'ammissibilità della revoca del consenso alla domanda congiunta proposta, da verificare alla luce della legge processuale italiana, non comporta di per sè sola l'individuazione della legge nazionale applicabile, che rimane pertanto questione impregiudicata.

L'accordo, recepito nella pronunzia di divorzio , prevedente l'obbligo, a carico di un coniuge, di trasferire all'altro la proprietà di un immobile a titolo di assegno una tantum di divorzio , entro e non oltre un certo termine dalla data di pubblicazione della sentenza di divorzio congiunto, costituisce un negozio di natura transattiva e aleatoria rispetto al quale è irrilevante la morte del coniuge beneficiario (purché successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ) con la conseguenza che gli eredi di quest'ultimo possono agire in giudizio per ottenere il trasferimento della proprietà dell'immobile in loro favore.

L'art. 5 l. n. 898 del 1970, nel testo di cui alla l. n. 74 del 1987, al comma 8, conferisce ai coniugi la facoltà di sostituire all'assegno periodico di divorzio l'attribuzione di una somma forfettaria, o di un bene, o di altra utilità, definendo in modo definitivo ed esaustivo i rapporti patrimoniali in proposito. Tale accordo, delibato equo dal tribunale che lo recepisce in sentenza, con il successivo passaggio in giudicato della stessa, conferisce al coniuge beneficiario il diritto all'attribuzione patrimoniale pattuita, sia essa una somma forfettariamente stabilita, ovvero il trasferimento di un diritto reale o di altra utilità. Da tale momento, stante il carattere definitivo dell'attribuzione patrimoniale, le successive vicende personali dei coniugi diventano irrilevanti rispetto ai diritti che ne formano oggetto, dovendosi applicare le norme sui contratti e non le norme che disciplinano l'assegno periodico di divorzio , con la conseguenza che, in caso di morte del coniuge beneficiario, il diritto di quest'ultimo al trasferimento del bene non si estingue, ma si trasmette ai suoi eredi, a favore dei quali può essere disposto con sentenza il trasferimento della proprietà del bene.

La domanda di divorzio su ricorso congiunto dei coniugi introduce un ordinario giudizio di cognizione: ne segue che, in mancanza di espressa previsione di legge, le parti devono avvalersi della difesa tecnica a mezzo di avvocato, conferendo a questi - a pena di inammissibilità della domanda - idonea procura.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

  • 001.jpg
  • 002.jpg
  • 003.jpg
  • 004.jpg
  • 005.jpg
  • 006.jpg
  • 007.jpg
  • 008.jpg
  • 009.jpg
  • 010.jpg
  • 011.jpg
  • 012.jpg
  • 013.jpg
  • 014.jpg
  • 015.jpg
  • 016.jpg

Abbiamo aggiornato la nostra Privacy e Cookie Policy. Se vuoi saperne di più, o se vuoi modificare il tuo consenso clicca su "Maggiori informazioni". Cliccando su "Accetto" all'utilizzo dei cookie impiegati dal nostro sito. Maggiori informazioni