In tema di comunione legale, tenuto conto dell'inespropriabilità della quota del coniuge, il creditore personale di quest'ultimo dovrà pignorare l'intero cespite in comunione, con facoltà peraltro di soddisfarsi solo sul ricavato nei limiti della quota spettante al coniuge obbligato, mentre l'interesse del coniuge non obbligato è tutelato dal diritto di far propria la rimanente parte del 50% del ricavato.

Si può configurare un diritto del coniuge già in comunione dei beni ai proventi dell'attività separata svolta dall'altro coniuge, ai sensi dell'art. 177 lett. c) c.c., quando questi ultimi non siano stati consumati, anche per fini personali, in epoca precedente lo scioglimento della comunione ma ciò purché siano maturati quando la comunione legale era ancora in atto.

In tema di imposta sulle successioni, siccome al momento della morte del coniuge si scioglie la comunione legale sui titoli (quali azioni, obbligazioni, titoli di stato, quote di fondi di investimento etc.) in deposito presso banche (c.d. dossier) ed anche la comunione differita o de residuo sui saldi attivi dei depositi in conto corrente, l'attivo ereditario, sul quale determinare l'imposta, è costituito soltanto dal 50% delle disponibilità bancarie, pure se intestate al solo de cuius.

Disatteso ormai il principio per cui costituivano oggetto della comunione "de residuo" non solo i proventi esistenti al momento dello scioglimento della comunione, ma anche quelli per i quali l'utilizzatore non riusciva a provare che fossero stati consumati per il soddisfacimento delle esigenze familiari, va affermato il principio per cui sono esclusi dalla comunione legale tra coniugi i proventi delle attività separate svolte da ciascuno dei coniugi e consumati in epoca precedente allo scioglimento della comunione.

La presunzione di illiceità della provenienza dei beni comporta l'inapplicabilità del regime della comunione legale perché tale istituto non può costituire uno strumento giuridico per sottrarre determinati beni alle misure di prevenzione patrimoniale previste nei confronti di chi è indiziato di appartenere ad un'associazione mafiosa.

In tema di separazione, qualora nessuno dei due coniugi sia in grado di dimostrare la proprietà esclusiva di beni mobili, trova applicazione l'art. 219 c.c., in forza del quale i beni (comprese le somme di denaro) vengono assegnati "pro quota" ad entrambi i coniugi.

In tema di assegno della separazione, la facoltà del giudice di ordinare al terzo creditore del coniuge obbligato di pagare il proprio debito direttamente nelle mani dell’avente diritto all’assegno, prescinde del tutto dal ritardo nel pagamento e dalla entità dell’assegno.

Il diritto del coniuge separato, senza addebito, al mantenimento da parte dell’altro, è subordinato dall’art. 156 c.c., alla condizione che chi lo pretenda “non abbia adeguati redditi propri” a differenza di quanto previsto in materia di divorzio dalla’art. 5 comma 6 legge 898/70, che condiziona altresì il diritto, al fatto che chi lo pretenda non possa procurarseli per ragioni oggettive.

Ciò in quanto, se ad esempio i coniugi prima della separazione avevano concordato o quantomeno accettato, sia pure soltanto per facta concludentia, che uno di essi non lavorasse, l’efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione, perché la separazione instaura un regime, che a differenza del divorzio, tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio, compatibili con la cessazione della convivenza, e quindi anche il tenore ed il tipo di vita di ciascuno dei coniugi.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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