Si fa licenziare, ma prende l'assegno divorzile

Di estremo interesse è l’ordinanza della Cassazione n° 37577 del 22/12/2022 che ha affrontato un problema non infrequente, vale a dire del diritto della donna che cessi volontariamente un’attività lavorativa di poter pretendere egualmente l’assegno divorzile.

La questione in esame è ancora più rilevante laddove l’ex moglie, la quale lavorava per una testata giornalistica, era stata licenziata in tronco dal quotidiano in quanto aveva falsificato i certificati di malattia usufruendo di circa due mesi di distacco dal lavoro e per aver utilizzato il tesserino dell’ex coniuge giornalista per recarsi a manifestazioni sportive.
La testata giornalistica allontanava la dipendente, pur invalida civile al 60% con un licenziamento disciplinare, talché la stessa veniva a perdere qualsiasi fonte di reddito.
Conseguentemente si rivolgeva al Tribunale di Firenze richiedendo la modifica delle condizioni di divorzio laddove in origine non aveva diritto ad alcun assegno essendo autonoma economicamente e facendo rilevare la nuova realtà che si era creata, legittimata a mero dire la richiesta di assegno divorzile.

ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA
Il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda di modifica delle condizioni ponendo a carico del marito un assegno non previsto nella sentenza originale di divorzio, in € 300,00.
Ricorrevano entrambi alla Corte d’Appello, la donna richiedendo un assegno maggiore e rilevando che con quella cifra non poteva neanche sopravvivere ed il marito ritenendo che non fosse dovuto alcun assegno, in quanto la perdita del lavoro e la conseguente perdita di reddito era un fatto esclusivamente imputabile alla ex moglie e cioè fosse la conseguenza di un comportamento doloso o più esattamente di un reato penale posto in essere con piena consapevolezza di ciò che stava compiendo.
La Corte d’Appello accoglieva il solo reclamo della donna e aumentava l’assegno divorzile ad € 450,00 mensili.

IL RICORSO ALLA CORTE SUPREMA
Il ricorso alla Corte di Cassazione era basato ovviamente sulla circostanza che la perdita di reddito non era un fatto fortuito ma la conseguenza di una condotta delittuosa e volontaria, idonea a far subire alla ex moglie il licenziamento disciplinare, come conseguenza immediata e diretta del reato compiuto in danno del datore di lavoro.
Secondo la difesa dell’ex marito quindi una simile situazione costituiva un’ipotesi ostativa del’insorgenza del diritto a percepire l’assegno divorzile potendosi equiparare tale fattispecie all’abbandono volontario di un posto di lavoro, ipotesi nella quale la Cassazione già aveva deciso in precedenza, che tale comportamento non legittimava la richiesta di un assegno prima inesistente.
Di contro la resistente rilevava che la nuova situazione creatasi, sia pure dipendente dal proprio comportamento, tuttavia modificava l’originale situazione reddituale delle parti e metteva la donna in una situazione di impossibilità di procacciarsi un reddito e dunque ai sensi della legge n° 898/70 art. 5 e 9 la stessa aveva diritto al mantenimento. Ciò sia pure tenendo conto del recente orientamento della Cassazione che con la sentenza a Sezione Unite n° 18287/2018 aveva affermato, dopo un diverso orientamento, che l’assegno di divorzio avesse caratteristiche, sia di natura compensativa che perequativa e dunque assistenziale.
Tale circostanza prescindeva dalla volontà o meno di perdere la propria fonte di reddito, ma doveva fare soltanto riferimento alla situazione oggettiva.

L’INADEGUATEZZA DEI MEZZI E L’IMPOSSIBILITÀ DI PROCURARSELI PER RAGIONI OGGETTIVE
La Cassazione esaminava il ricorso facendo riferimento anche alla sentenza alla quale si era riportato il marito vale a dire a Cassazione n° 26594/2019 con la quale si era stabilito che l’abbandono volontario del lavoro non dava automaticamente diritto all’assegno divorzile, che invece doveva essere precluso.
La Cassazione finiva con il respingere il ricorso del marito, condannandolo per di più alle spese e rilevando che il richiamo della sentenza succitata non legittimava l’accoglimento della domanda in quanto nella pregressa decisione del 2019 la Cassazione aveva esaminato una situazione diversa nella quale la donna era in giovane età ed aveva dimostrato piena capacità lavorativa.

Dunque l’abbandono volontario dal lavoro non escludeva che la donna potesse procacciarsene un altro e quindi fosse perfettamente in grado di procurarsi i mezzi per il proprio sostentamento in modo adeguato.
Di contro nella situazione esaminata, pur essendo indubbio che la donna aveva provocato con il suo comportamento delittuoso il licenziamento in tronco, tuttavia andava tenuto conto che la stessa era invalida al 60% quale portato di handicap ai sensi della legge 104/92 e per di più che, data l’età di 57 anni, non si trovava nelle condizioni di poter rinvenire altra attività lavorativa.
Dunque se è indubbio che la situazione di difficoltà e bisogno in cui la stessa si trovava fosse riconducibile ad una condotta volontaria o addirittura dolosa, tuttavia la situazione era ben diversa da quella esaminata dalla precedente Corte di Cassazione.
L’errore in cui incorre il ricorrente secondo la Cassazione è che nel primo caso, il mancato riconoscimento del diritto all’assegno, non era stato considerato dalla Cassazione come una sorta di “sanzione” o di “punizione” per il coniuge debole che si era posto volontariamente nell’impossibilità di avere redditi, ma solo perché in quel caso vi era la possibilità oggettiva di poter lavorare e procacciarsi un reddito autonomo.
Nel caso invece in esame della moglie licenziata in età avanzata sia pure per la commissione di vari reati, la circostanza dell’evidente dolo non escludeva che la stessa si trovasse nelle condizioni di cui all’art. 9 della legge 898/70 dovendo il giudice soltanto valutare, al di là del dolo, o della colpa, o del caso fortuito, se la situazione creatasi metteva il coniuge più debole nella condizione di potersi o no procacciare un reddito adeguato, in caso negativo, concedendo l’assegno divorzile.
Del resto rifacendosi anche ad altre precedenti decisioni, la Suprema Corte Cassazione rileva che, anche in ipotesi di pensionamento anticipato la volontarietà di tale evento non esclude ipso jure il diritto della pensionata all’assegno divorzile, allorchè un esame oggettivo della situazione, evidenzi l’incapacità economica della donna e l’impossibilità di procacciarsi altri redditi, essendo questo l’unico punto sul quale il giudice deve valutare la situazione indipendentemente dal motivo per il quale si è creata la situazione di indigenza.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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