Il socio della s.r.l. estinta paga i debiti al fisco anche senza aver percepito alcun utile dal bilancio

La Cassazione continua nel solco già tracciato estremamente sfavorevole ai contribuenti legittimando il comportamento dell’amministrazione fiscale che emette la cartella esattoriale nei confronti del socio della Società a Responsabilità Limitata anche se questi non ha percepito alcun utile sociale nel bilancio finale.


La Corte Suprema è tornata sull’argomento della responsabilità del socio di una Società di capitali allorchè la Società stessa venga cancellata dalla Camera di Commercio ritenendo singolarmente che perduri una responsabilità del socio anche dopo l’estinzione della società.
Non sfugge ad alcuno che un tale orientamento sembra urtare non soltanto con il principio per cui la Società di capitali risponde solo con il capitale e non con il patrimonio dei soci, ma anche con l’art. 2495 c.c. a norma del quale, dopo la cancellazione della società di capitali, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, ma solo fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
Ciò significa che i creditori della Società non possono agire contro alcun socio se non nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale.
Solo in questo caso subentrerebbe dal lato passivo del rapporto con il creditore insoddisfatto il socio, ma si ripete soltanto nei limiti di quanto riscosso dopo la liquidazione.
Tale principio normativo del resto coincide con il principio basilare delle Società di Capitali per il quale il socio non risponde mai con il proprio patrimonio.
Viceversa l’orientamento della Cassazione con l’ordinanza n° 29277 depositata il 21/10/2021, che fa riferimento a Cassazione Sezione Unite n° 619/21, giunge all’assurdo per cui se il socio non risponde di alcun debito della S.r.l., diviene viceversa responsabile se la Società viene dichiarata estinta.

L’ART. 2495 ED IL PRECEDENTE ORIENTAMENTOD ELLA SUPREMA CORTE
Aderendo al principio di cui all’art. 2495 c.c., la Suprema Corte precisava che il socio subentra nei debiti della Società, con riferimento al creditore che non è riuscito ad ottenere il soddisfacimento delle proprie pretese soltanto, come si è detto, nei limiti delle somme percepite con il bilancio finale.
Di contro, se il socio non ha percepito alcunchè il creditore non può agire nei propri confronti.
Quindi (vedasi per esempio Cass. n° 15474/2017) gli ex soci potevano essere chiamati a rispondere ai debiti soltanto nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione con il bilancio di chiusura.
In tal maniera l’accertamento dell’esistenza di un attivo distribuito con il bilancio finale societario, costituisce il presupposto nel considerare il socio successore (sia pure nei limiti detti) della Società essendo tenuto, nei limiti, si ripete, delle somme percepite, a pagare il creditore.
Di contro se il socio nulla ha percepito con il bilancio finale, ipotesi per lo più ricorrente dato che le società vengono cancellate dalla Camera di Commercio normalmente per l’impossibilità di proseguire nell’attività commerciale a causa di debiti contratti, egli non potrà essere convenuto assolutamente in giudizio.
Quindi, sempre secondo l’orientamento della Cassazione predetta è il creditore che deve dimostrare la percezione da parte del socio di un utile nel bilancio finale per poter agire legittimamente nei suoi confronti.

INGIUSTA PREFERENZA PER L’AMMISTRAZIONE FISCALE
La Suprema Corte ha rivisto tale principio accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva emesso varie cartelle esattoriali per IVA e IRAP nei confronti del socio ritenendo automaticamente responsabile del pagamento del dovuto, differenziando il creditore fiscale dal creditore privato.
Proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale e poi a quella Regionale il malcapitato, rilevando che egli non aveva percepito alcun utile nel bilancio finale della società e contestando il proprio difetto di legittimazione passiva e sostenendo semplicemente che, non avendo percepito nulla, non poteva rispondere dei rilevanti debiti richiesti alla Società, né tantomeno essere il destinatario in proprio delle cartelle esattoriali per debiti societari.
La Cassazione era di contrario parere e precisava che “non va confuso il limite di responsabilità ai sensi dell’art. 2495 c.c. con la legittimazione processuale rispetto alla notifica della cartella esattoriale”.
In sostanza la Cassazione sostiene che il limite di responsabilità dei soci di cui all’art. 2495 c.c. non incidere sulla loro legittimazione processuale rispetto all’atto di cui alla cartella esattoriale emessa nei loro confronti ed a nulla vale la circostanza che i soci non abbino partecipato utilmente alla ripartizione finale (sic).
Infatti, secondo al Suprema Corte ben possono sussistere beni o diritti che sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si siano trasferiti ai soci.
Già si era espressa come detto, in tal senso nel 2021 la Cassazione a Sezione Unite con la sentenza 619.

DISPARITA’ DI TRATTAMENTO E SOSTANZIALE INGIUSTIZIA DELLA DECISIONE
L’orientamento recentissimo della Cassazione estremamente favorevole all’amministrazione fiscale (è raro in questi ultimi anni trovare sentenze favorevoli al contribuenti), mina tuttavia un principio sostanziale della tutela del socio alla società di capitali il quale non dovrebbe mai rispondere con i propri beni personali se non appunto nei limiti di cui all’art. 2945 c.c. e cioè soltanto per gli utili che abbia percepito con il bilancio finale.
In ogni modo, resta un dato incontestabile e cioè che, mentre il creditore privato che voglia agire nei confronti del socio può citarlo in giudizio dimostrando che l’onere della prova a suo carico che, al di là del bilancio di chiusura, vi sono stati utili non dichiarati versati dal socio, tutt’altra è la pozione dell’amministrazione fiscale.
Infatti l’Agenzia delle Entrate nell’emettere una cartella esattoriale che è equiparata ad un atto di precetto pone il contribuente in una posizione già di condanna, senza che vi sia stato alcun accertamento preventivo.
In sostanza il semplice funzionario dell’Agenzia delle Entrate con l’emissione della cartella esattoriale emette già una condanna senza alcun accertamento.
Se disgraziatamente il socio non ha ricevuto per qualsiasi motivo o non è stato in grado di prendere conoscenza dell’atto tempestivamente, in assenza di opposizione, al di là della ragione o meno, egli sarà tenuto comunque al pagamento e potrà subire l’esecuzione forzata del fisco.
Ci sembra che non sia necessario spendere ulteriori parole per rilevare l’assoluta disparità di trattamento e la presunzione di colpevolezza che grava sul contribuente ove ad agire sia il Fisco.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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