Se il minore non vuole vedere il padre, non può punirsi per questo la madre

La questione esaminata dall’ordinanza n° 27207 del 23/10/2019 della I Sezione Civile della Cassazione è particolarmente frequente allorchè i figli rifiutino di vedere l’altro genitore.
Quasi sempre tale atteggiamento è provocato dall’influenza della madre nei confronti del minore al quale l’altro genitore viene additato quale responsabile del fallimento dell’unione, della crisi anche economica della famiglia, come persona indegna o peggio.

LE SANZIONI DI CUI ALL’ART. 709 TER C.P.C.
Questa norma introdotta nel Codice Civile dall’art. 2 della legge 8/02/2006 n° 54 (quella che introdusse l’affidamento condiviso in Italia) prevede che, nel caso in cui sorgano contrasti in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o alle modalità dell’affidamento, il reclamo vada proposto al giudice del processo in corso, o con apposita azione, il quale potrà ammonire il genitore, disporre il risarcimento dei danni a carico di uno dei genitori nei confronti dell’altro o dei figli e condannare l’inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria fino ad € 5.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Inoltre il soggetto leso può chiedere che si rivedano le statuizioni sull’affidamento e sul collocamento, tenuto conto del comportamento del genitore colpevole.
Questa norma ha dato luogo a numerosi contenziosi, soprattutto per ciò che riguarda il mancato esercizio del diritto di visita per la volontà contraria del genitore collocatario.
Infatti spesso i figli che si trovano sballottati fra le opposte accuse dei genitori, cercano di evitare di frequentare il genitore non collocatario, perché influenzati dalla madre o semplicemente per non farle dispiacere.
La questione è approdata innumerevoli volte nelle aule giudiziarie dando luogo a consulenze tecniche, accertamenti peritali a carattere psicologico, intervento di Assistenti Sociali e simili.


I PROVVEDIMENTI DEL TRIBUNALE
All’esito di tali accertamenti emerge con estrema frequenza che il comportamento del minore non appaia spontaneo, ma sia l’effetto dell’influenza esercitata in genere dalla madre, la quale dipinge l’altro genitore a fosche tinte, lo accusa in modo indiscriminato e ovviamente, essendo fallita l’unione e caduta la stima nei confronti dell’ex compagno, cerca di evitare che i propri figli frequentino il padre, nell’errata convinzione così di proteggere la prole.
Questa situazione, soprattutto nei soggetti più giovani, dà luogo effettivamente ad un rifiuto della frequentazione, talché spesso emerge da tali consulenze la piena responsabilità del genitore collocatario con l’applicazione delle sanzioni, dell’ammonimento, fino a giungere in taluni casi addirittura al mutamento dell’affidamento e del collocamento, spostando il minore da un genitore all’altro o peggio affidandolo ai Servizi Sociali o addirittura alle Case Famiglie allorchè nessuno dei due appaia affidabile.
Talvolta tali atteggiamenti denigratori dell’altro genitore promanano da vere e proprie situazioni di odio, al punto da accusare l’ex coniuge delle peggiori nefandezze incluse violenze sui minori e simili.


ORDINANZA N° 27207/19 DELLA CASSAZIONE
In questa situazione emerge l’interessante intervento della Cassazione in una fattispecie piuttosto comune.
Nel caso specifico la madre aveva accusato il padre di abusi sulla minore (poi rilevatisi infondati) e comunque erano sorti dei contrasti violentissimi fra i genitori fino al punto che la bambina e poi la ragazza rifiutava di frequentare il padre.
Il problema era quello di valutare se l’atteggiamento della figlia fosse spontaneo e quindi frutto soltanto della volontà dell’interessato ovvero indotto dalla madre.
La questione dal Tribunale di Torino finiva in Cassazione ove il padre si lamentava che il giudice non avesse applicato le sanzioni di legge nei confronti della madre, pur essendosi accertata l’infondatezza delle accuse ed il fatto che la ragazza soffrisse di uno stato di malessere che secondo il genitore dipendeva della circostanza di essere stata esposta per anni alle conflittualità tra i genitori ed alle false accuse della madre.
La ragazza tuttavia, la quale viveva con la madre, non intendeva modificare il proprio atteggiamento e rifiutava di incrementare gli incontri con il padre per una scelta personale e non perché plagiata dalla madre, riconosciuta dal CTU come una persona fragile, ma comunque idonea a svolgere la funzione genitoriale.
Avverso la mancata applicazione delle sanzioni il padre si rivolgeva dunque alla Cassazione rilevando che non era stato adeguatamente punito l’altro genitore per aver trascurato i comportamenti posti in essere nei confronti della figlia e del padre tra i quali l’infondata denuncia a carico del ricorrente per abusi sessuali, con l’ingiusta mancata adozione dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c.
La Corte di Cassazione tuttavia respingeva il ricorso confermando la decisione della Corte d’Appello la quale, tenuto conto dei fatti rilevanti della vicenda emersi in corso di istruttoria, compresa la denuncia, rilevatasi infondata nei confronti del padre (sulla quale però non si era riscontrato alcun intento calunnioso), non riteneva di applicare alcuna delle sanzioni prevista dalla normativa.
Ciò in quanto era emerso che il rifiuto della figura paterna non era imputabile in alcun modo all’influenza della madre, bensì realmente ad una scelta volontaria e determinata della figlia, senza alcuna pressione o alcuna imposizione da parte della madre.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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