Mantenimento dei figli: lo paga il reddito di cittadinanza

Tra i tanti effetti non voluti della nuova normativa, c’è quello per cui molti padri, tenuti per provvedimento del tribunale a versare il dovuto mantenimento ai figli, si sottraggono a tale obbligo semplicemente usufruendo della nuova disciplina in tema di reddito di cittadinanza.


Infatti è sufficiente staccare il figlio dal nucleo familiare, mandandolo apparentemente a vivere presso un’altra abitazione, per legittimare la richiesta dell’assegno in assenza di redditi dell’interessato e quindi sottraendo il coniuge dall’obbligo di provvedere in tal senso.

Cominciano ad essere emesse le prime decisioni del Tribunale in tal senso che sembrano legittimare tale mal costume, essendosi ritenuto legittimo il patto in una separazione consensuale, secondo il quale il mantenimento del figlio maggiorenne non autonomo, viene demandato allo Stato, anziché al padre.

La previsione economica della nuova disciplina in tema di reddito di cittadinanza, comporta un onere presumibile per anno di 6.500.000.000 di euro e riguarda circa 5.000.000 di probabili interessati.

I requisiti per accedere al beneficio, sono piuttosto semplici:

a)    Bisogna essere in possesso della cittadinanza italiana o per gli stranieri di essere in possesso del regolare permesso di soggiorno ed essere residenti in Italia da almeno dieci anni;

b)    Avere un ISEE inferiore a € 9.360,00;

c)     Avere un patrimonio immobiliare inferiore ad € 30.000,00 (nel quale non è compresa la casa di abitazione);

d)    Avere un patrimonio mobiliare (cioè fondi in banca) inferiore ad € 6.000,00 (limite innalzato di € 2.000,00 per ogni componente familiare successivo al primo);

e)     Avere un reddito familiare non superiore ad € 6.000,00 o ad € 9.360,00 ove si paghi un affitto;

f)       Non possedere auto o moto di grossa cilindrata, né essere titolari di navi o imbarcazioni o da diporto;

g)    Non essersi dimesso dal lavoro nei 12 mesi precedenti alla domanda;



Il reddito previsto dalla normativa prevede un massimo erogabile che va da € 780,00 per un adulto che vive in affitto fino ad € 1.180,00 per una famiglia di 4 persone.

Per un single il contributo massimo è di € 500,00, di € 650,00 se ha un mutuo da pagare e di altri € 130,00 se vive in affitto.



L’IMPEGNO AL LAVORO



Per usufruire del reddito di cittadinanza, come è noto, è obbligatorio rimanere disponibili ad essere reinseriti nel mondo del lavoro.

I beneficiari devono dichiarare infatti la propria disponibilità a lavorare, aderendo ad un percorso personalizzato e l’eventuale patto per il lavoro dovrà essere stipulato presso i Centri per l’impiego entro i 30 giorni dalla data di accesso al reddito.

Sarà obbligatorio accettare almeno una di tre offerte di lavoro “congrue”.

E’ facile osservare che se vi fosse questa ampia disponibilità di lavoro cui fa riferimento il reddito di cittadinanza, certamente non vi sarebbero tanti soggetti inoccupati.

Tuttavia la questione si pone soprattutto per le incongruenze del sistema e particolarmente per le facili situazioni artatamente poste in essere per accedere al reddito, pur non avendone alcun requisito.

Tra l’altro salta subito agli occhi la differenza per esempio dal sistema tedesco, in cui il reddito è di gran lunga inferiore (di poco superiore di € 400,00).

Questo già di per sé incide in maniera notevole sull’istituto, laddove in Italia un reddito di circa € 800,00 è pari o superiore al reddito percepito da un lavoratore part time, il quale non potrà non chiedersi quale vantaggio avrebbe a lavorare, rispetto piuttosto alla possibilità di rimanere in casa percependo il reddito di cittadinanza, contando sul fatto che offerte di lavoro ben difficilmente potranno riguardare tutte le persone interessate all’istituto.



LA QUESTIONE DEI LAVORATORI IN NERO



L’Inps ha chiarito con circolare n. 43/3029 che il reddito e la pensione di cittadinanza sono sempre compatibili con lo svolgimento di attività lavorativa da parte di uno o più componenti il nucleo familiare, salvo ovviamente che non si superino i limiti di reddito stabiliti dalla normativa.

Ciò significa in concreto che il sussidio economico viene comunque erogato, purché il reddito che si ricava dal lavoro svolto non faccia perdere i requisiti economici previsti dalla disciplina.

In realtà tuttavia lo scopo che si prefigge la norma e cioè di allargare le offerte di lavoro a tutti i soggetti attualmente inoccupati, potrebbe comportare l’effetto opposto.

Infatti tutti i lavoratori che apparentemente risultano disoccupati, ma in realtà svolgono la propria attività in nero, e cioè senza versare i contributi all’Inps, non potranno non cogliere la palla al balzo e cioè continuare a lavorare in nero percependo contestualmente anche il reddito di cittadinanza.

Tale casistica sta già emergendo abbondantemente sul territorio. Non vi è giorno in cui i mass media non riferiscono di lavoratori che percepiscono contestualmente sia il reddito da lavoro non dichiarato, sia il reddito di cittadinanza.

In altri casi, come si accennava, alcuni soggetti preferiscono rinunciare ad un modesto reddito da lavoro part time per accedere al reddito di cittadinanza e ciò sta accadendo per esempio per molte donne, le quali rinunciano all’attività lavorativa svolta in nero, per rimanere a casa ad accudire i figli, percependo contestualmente il sussidio statale, senza alcun impegno lavorativo concreto.

Questo fenomeno dipende dal fatto che, a differenza di altri Stati, il reddito di cittadinanza in Italia può giungere a cifre di € 800,00 mensili o più, e cioè a somme superiori al reddito da lavoro part time secondo i contratti nazionali.

L’importo eccessivo infatti rischia, contrariamente alle aspettative e agli scopi della legge, di far incrementare l’attività lavorativa in nero o peggio, stimolare l’abbandono dei posti di lavoro.



LA SITUAZIONE IN EUROPA E LE TRUFFE



La patologia che emerge dall’istituito del reddito di cittadinanza è proprio quella di comportare l’erogazione di somme, distraendole per esempio da altri settori quali la sanità, l’insegnamento, la giustizia, e simili, facendole finire nelle tasche di soggetti che certamente non ne hanno alcun diritto.

Ciò si nota non solo in Italia, ma anche in paesi al di sopra di ogni sospetto come in Germania.

Tempo addietro, il quotidiano “La Repubblica” citando i media tedeschi, rilevava che in Germania l’Agenzia Federale del Lavoro aveva scoperto solo nel 2018 oltre 150.000 casi di truffa.

Si consideri che per poter ottenere l’assegno in Germania è necessario dimostrare di aver presentato almeno 15 domande agli uffici del lavoro mensilmente senza successo (e questa la differenza sulla ben diversa probabilità di trovare un lavoro in Germania rispetto all’Italia).

Va ricordato che in Germania il reddito di cittadinanza denominato “Hartz IV” è stato introdotto ormai da oltre 10 anni dal governo social democratico ed aveva lo scopo di rappresentare un ammortizzatore sociale in favore di chi non aveva ancora un lavoro e comunque non disponeva di un patrimonio sufficiente per mantenersi in modo autonomo.

L’assegno che in genere arriva ad € 416,00 al mese è legato all’obbligo di accettare un lavoro con percorso di formazione e viene erogato in Germania oggi a circa 6.000.000 di persone.

Tuttavia a distanza di dieci anni si è rilevato che, anziché ottenere il risultato voluto, e cioè contrastare la disoccupazione, di fatto è cresciuto in modo rilevantissimo il precariato, sia in quanto non vi è l’interesse a dichiarare di aver rinvenuto un lavoro per non perdere il reddito di cittadinanza, sia perché, come rilevato dai giornali tedeschi, le attività lavorative rinvenute sono estremamente modeste e tutte a tempo determinato.

Quindi chi percepisce il reddito di cittadinanza si trova a dar seguito ad una sequenza di piccoli lavori senza alcuna prospettiva, denominati nei mass media “mini jobs”, e cioè piccoli lavori part time senza possibilità di prosecuzione.

Ed è facile considerare che la situazione lavorativa ed economica italiana è ben lungi dal poter essere paragonata a quella tedesca.



UN BENEFICIO DIFFICILE DA ELIMINARE



Il reddito di cittadinanza che è stato il cavallo di battaglia dell’attuale governo, di fatto anche si dovesse rilevare un fallimento, sarà estremamente difficile da poter annullare o ridurre, semplicemente perché nessun partito ha interesse ad inimicarsi i propri elettori che percepiscono il reddito e quindi nessuno si prenderà il rischio di perdere il proprio elettorato per sanare l’economia.



IN EUROPA



La differenza principale tra l’Italia e gli altri Stati è proprio quella relativa al diverso tessuto industriale e commerciale e cioè appunto alla diversa possibilità lavorativa per la popolazione.

In Inghilterra è previsto l’ ”income support” che viene attribuito ai soggetti che non hanno reddito e non lavorano a tempo pieno e consiste in un importo di 57,90 sterline a settimana fino a 114,85 sterline per le coppie adulte.

Anche in Francia esiste il “Revenu e Solidaritè Active” (RSA) che viene attribuito fino a che non si raggiunga un reddito minimo e consiste nel massimo in poco più di € 500,00.

In altri piccoli Stati, e con situazioni assolutamente diverse da quella italiana, (vedasi per esempio la Finlandia) è prevista una cifra di circa 560,00 e viene attribuita soltanto però a duemila cittadini privi di occupazione, senza alcun controllo su come viene spesa la somma erogata.

L’unica differenza in termini di importo è la Danimarca nella quale tuttavia il costo della vita è enormemente superiore al nostro e che prevede un reddito di circa € 1.300,00 mensili, vincolato però all’iscrizione delle liste di disoccupazione e alla partecipazione ad un tirocinio per l’inserimento nel mercato del lavoro, però in una realtà in cui è praticamente quasi impossibile non trovare un lavoro adeguato in tempi brevi.



LE MISURE CHE ANDAVANO ASSUNTE



Come si vede a fronte di situazioni estremamente diversificate, se il provvedimento mirava ad incrementare il mercato del lavoro e quindi l’economia nazionale, ciò probabilmente avverrà solo in minima parte con il rischio di incrementare proprio il lavoro in nero.

Si creerà una pletora di apparenti nullatenenti, con redditi intestati a parenti, amici e similari, ovvero con separazioni di comodo fraudolentemente poste in essere per sottrarsi a verifiche, i quali tranquillamente e nei limiti della legalità con la normativa attuale sono legittimati a presentare ed ottenere il contributo da parte dello Stato.

Tenuto conto viceversa della particolare situazione in Italia, ove pur a fronte di una economia statica, tuttavia il mercato del lavoro si sta riprendendo, sia pure in parte in nero o con contratti apparentemente di lavoro autonomo, ma in realtà subordinato, sarebbe stato sufficiente destinare il denaro al versamento dei contributi in favore dei lavoratori che fossero stati assunti dai datori di lavoro ponendo a carico dello Stato la contribuzione obbligatoria, che incide in maniera notevole sui costi di un dipendente. Tale provvedimento avrebbe sicuramente provocato lo stimolo a nuove assunzioni, con l’emersione di migliaia di posti di lavoro (in realtà molti già esistenti, ma in nero).

Di contro sicuramente giustificato è l’aumento dei trattamenti pensionistici relativi alle pensioni minime e a quelle sociali, che attualmente non potevano non essere equiparate al minimo reddito di cittadinanza previsto.

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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