Utero in affitto: reato, illecito civile o è tutto legale?

Per la prima volta il Tribunale di Bologna ha ritenuto legittima l’iscrizione presso l’anagrafe di un bambino nato da una madre surrogata e cioè in sostanza da una donna ucraina che si era resa disponibile a portare avanti la gravidanza di un bambino per conto terzi.


Il bambino era nato dall’embrione prodottosi a seguito dell’incontro dello sperma del padre committente e dell’ovocita di una sconosciuta donatrice (che non era né la partoriente né la compagna del padre). 

Tale tecnica, cioè di dar corso ad una procreazione mediante il cosiddetto “utero in affitto”, non è legale nella maggior parte dei Paesi europei, con eccezione del Regno Unito, Grecia, Paesi Bassi, Romania, Russa e Ucraina.

LA LEGGE UCRAINA 

In Ucraina, che è il caso esaminato dal Tribunale penale di Bologna, il bambino era nato nel pieno rispetto della legge locale, che ammetteva la pratica dell’utilizzo di una donna disponibile a portare avanti la gravidanza a due condizioni.
L’una che il 50% del patrimonio genetico dovesse appartenere  alla coppia committente e la seconda  che l’ovocita da cui nasce l’embrione non fosse della gestante.
I genitori, che sono stati poi prosciolti dal Tribunale penale di Bologna,  si erano dunque rivolti a una donna disponibile del posto per avere un figlio, proprio sulla base della legge locale, utilizzando gli spermatozoi del marito della coppia che richiedeva la prestazione.
Una volta nato il bambino, era stata trascritta la nascita allo stato civile ucraino, indicando come genitori i committenti, ma non nascondendo agli uffici anagrafici del posto, che si era operato mediante il meccanismo della maternità surrogata e anzi fornendo tutta la documentazione relativa, dimostrando di aver rispettato in pieno la legge del posto.

IL TRASFERIMENTO IN ITALIA

A questo punto la coppia si era rivolta all’Ambasciata Italiana a Kiev, al fine di ottenere i documenti per portare il bambino in Italia.
La stessa Ambasciata, tuttavia inaspettatamente, aveva dato corso alla denuncia penale, rilevando che sussisteva il presunto reato di falsità nello stato civile, laddove la madre effettiva del bambino non era  affatto la richiedente,  bensì la madre naturale, cioè quella che aveva portato avanti la gravidanza.

IL PROSCIOGLIMENTO

Il Giudice dell’udienza preliminare rilevava che non vi era stato alcun stratagemma nè artifizio in quanto la situazione era stata perfettamente chiarita sin dall’inizio e la richiesta di iscrizione dell’ anagrafe del Comune di appartenenza dei due genitori non poteva considerarsi un illecito.
Infatti non   era rilevabile alcun raggiro posto in essere dai richiedenti, salva la imprecisa dichiarazione della donna committente la quale, se da un lato si era dichiarata madre del bambino, tuttavia aveva prodotto l’intera  documentazione della procedura legalmente seguita,  portata avanti e disciplinata dalla normativa ucraina tramite il meccanismo de cosiddetto“ utero in affitto”.

L’ INTERVENTO DEL TRIBUNALE PER I MINORI

Il provvedimento di proscioglimento del giudice italiano che sostanzialmente per la prima volta, legittima l’iscrizione in Italia di un bambino nato mediante il rispetto della legge locale circa l’utilizzazione di un’altra donna per portare avanti la gravidanza, è stato  supportato anche dalla condanna da parte della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo, dell’Italia.
In quel caso, il Tribunale per i Minori aveva tolto un bambino ad una coppia che lo aveva avuto da una donna in Russia mediante la stessa procedura, ma senza l’utilizzo di gameti di alcuno dei due. La coppia di Campobasso, dopo aver tentato la fertilizzazione in provetta con i propri gameti, aveva deciso, visti vani ed inutili i tentativi, di recarsi in Russia, cercando una donna che potesse procedere alla gravidanza su mandato.
Nato il bambino nel 2011, questo veniva regolarmente iscritto come figlio dei genitori italiani, presso l’anagrafe di Mosca. Tuttavia tornati in Italia l’Ufficio Comunale dei presunti genitori negava di procedere alla trascrizione, anzi denunciava i richiedenti, per aver dichiarato di essere i genitori del bambino. Cosa ancora più grave, dopo l’esame del DNA, rilevato che non sussisteva alcun collegamento biologico tra la coppia ed il bambino nato, il Tribunale dei minori lo dichiarava in stato di abbandono, statuizione propedeutica all’affidamento preadottivo. Successivamente il bimbo veniva affidato ad un’altra famiglia disponibile, statuendo espressamente che i genitori “committenti” non potessero adottarlo né dovessero più avere contatti con il bambino.

LA CORTE DI STRASBURGO

La Corte Europea, interveniva in senso contrario, censurando il comportamento del Tribunale dei minori che aveva dichiarato  il bambino in stato di adottabilità  e lo aveva inserito in un’altra famiglia, statuiva che l’Italia aveva violato il diritto dei genitori “committenti” di poter riconoscere come proprio,   il  bambino, pur non avendo questi alcun legame di sangue con i richiedenti. 
La sentenza,  anche se non prevedeva l’obbligo di restituire il bambino, quantomeno perché il piccolo aveva indubbiamente sviluppato legami affettivi con la famiglia con la quale viveva dal 2013, tuttavia dichiarava espressamente che il provvedimento italiano, non rispettava per nulla i principi del diritto europeo non essendo legittima la decisione del Tribunale dei minori di allontanare il bambino attribuendo la cura dello stesso ai servizi sociali e poi a una coppia disponibile.
Condannava l’Italia a pagare ai coniugi un risarcimento di circa 20mila euro (a fronte di una richiesta superiore di 5 volte) oltre le spese processuali.

LA CONDANNA DELLA CASSAZIONE

In questo clima di confusione la Corte Suprema ha optato, nonostante il parere difforme della Procura generale, per l’orientamento più restrittivo, escludendo la legittimità del ricorso al sistema dell’ ”utero in affitto” in un'altra situazione in cui il bambino era nato da una donna, anch’essa ucraina, che si era prestata. Anche in questo caso si trattava di una coppia sulla cinquantina, che non poteva avere figli, , in quanto dalla consulenza espletata la presunta madre era priva dell’utero per un’ asportazione, mentre l’uomo era affetto da oligospermia.
Accertato quindi che il tentativo di far registrare il bambino in Italia quale figlio dei genitori mandanti, in sostanza costituiva un falso, e considerando che la situazione non era conforme neanche alla normativa ucraina, che prevedeva che il 50% del patrimonio genetico dovesse appartenere ad uno dei genitori committenti, anche in questo caso confermava che il  bambino dovesse essere tolto e posto in stato di adottabilità.
Rilevava la Corte Suprema che l’Italia non poteva riconoscere la pratica della fecondazione extra corporea (così indicata dalla Cassazione) e dunque non dovesse essere revocato lo stato di adottabilità pronunciato dal Tribunale dei Minori e la restituzione del bambino a coloro che si erano dichiarati falsamente i genitori naturali.
Ciò, si ripete, nonostante la richiesta contraria della stessa Procura generale presso la Corte di Cassazione che aveva concluso in modo difforme.

ULTERIORE INTERVENTO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

In tutta questa confusissima  vicenda, si innesta la dichiarazione di incostituzionalità della L.n.40 del 2004 nella parte in cui vietava la fecondazione eterologa allorchè sia stata accertata una patologia che sia causa irreversibile di infertilità o sterilità assoluta.

LA NECESSITA’ DI UNA NORMATIVA COMUNITARIA UNIFORME

Le questione che emergono da queste decisioni peraltro contrastanti sono estremamente rilevanti sia sul piano etico, ma anche sul piano pratico. Basti guardare in rete le Associazioni più o meno legali (parola di incerto significato nel nostro caso) che si occupano di “procacciare” bambini per coppie impossibilitate con servizi all inclusive (viaggio, donatori, gestante, hotel, avvocato) a prezzi tutto sommato contenuti (quanto, ci si chiede, andrà poi realmente alla gestante?).
Si pensi ancora, in assenza di una legge nazionale, dopo la decisione della Corte Costituzionale, anche alla necessità di un registro dei donatori, quantomeno per far sì che non vi siano troppi figli da parte dello stesso donatore biologico.
Questo solo per parlare delle problematiche più semplici, senza contare i quesiti morali,  allorchè innumerevoli giovani donne in paesi con un’ economia disastrata, lottano tra loro per  vendersi al  fine di portare avanti una maternità che comunque fisicamente comporta dei rischi e talvolta pregiudizi ed alterazioni irreversibili.
Non vi è dubbio della necessità di legislazioni unitarie ed univoche che regolamentino una materia così delicata e con aspetti ed implicazioni così vaste e complesse.

 

Pubblicazioni Avv. Maurizio Bruno

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