Cass. n. 6664 dell’8 luglio 1998

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La " domanda congiunta " di divorzio , ai sensi dell'art. 4, comma 13, della l. 1 dicembre 1970 n. 898, non configura una ipotesi di divorzio "consensuale", analogo alla separazione consensuale, poiché il giudice non è condizionato al consenso dei coniugi, ma deve verificare la sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio, avendo l'accordo dei coniugi rilevanza, invece, per quanto concerne le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare (salva l'ipotesi di contrasto delle condizioni stabilite rispetto all'interesse dei figli). Pertanto, ove uno dei coniugi, in sede di comparizione innanzi al collegio, revochi il consenso già prestato, tale revoca è, per un verso, irrilevante, perché il giudice adito esamini, nel merito, la domanda di divorzio (per cui deve essere cassata la sentenza della Corte di appello che abbia dichiarato improcedibile la domanda congiunta ), per altro, relativamente alla disciplina dei rapporti patrimoniali contenuta nella domanda congiunta , inammissibile (per cui qualora il giudice ritenga la sussistenza delle condizioni per l'accoglimento della domanda di divorzio , dovrà mantenere fermi gli accordi patrimoniali indicati nella domanda congiunta ).

Poiché la domanda congiunta di divorzio non è la somma di due distinte domande, né il frutto dell'adesione di una parte alla domanda dell'altra, la rinuncia di una delle parti, salvo che la domanda congiunta non sia dovuta ad errore, violenza o dolo, è inammissibile.

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