Cassazione - n. 19939 del 18 luglio 2008

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Quando un terzo ha concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento - pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio - di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Il provvedimento giudiziale di attribuzione della casa, che esclude uno dei coniugi dall’utilizzo e “concentra" il godimento in favore dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale; pertanto, se il comodato è stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato, il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno ex art. 1809, comma 2, c.c. (nella specie, il genitore di uno dei coniugi aveva concesso in comodato precario un appartamento al figlio, affinché costituisse la casa coniugale; in sede di separazione, la casa era stata assegnata all’ex moglie del figlio perché genitore affidatario, sicché il proprietario dell’immobile ne aveva chiesto la riconsegna).

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