Sezione VI Della nullità del matrimonio

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Sezione VI
Della nullità del matrimonio


Art. 117.
Matrimonio contratto con violazione degli articoli 84, 86, 87 e 88.


Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 86, 87 e 88 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale.

Il matrimonio contratto con violazione dell'articolo 84 può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori e dal pubblico ministero. La relativa azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale.

Il matrimonio contratto dal coniuge dell'assente non può essere impugnato finché dura l'assenza.

Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare l'autorizzazione ai sensi del quarto comma dell'articolo 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione.

La disposizione del primo comma del presente articolo si applica anche nel caso di nullità del matrimonio previsto dall'articolo 68.



Art. 119.
Interdizione.


Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se la interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l'infermità esisteva al tempo del matrimonio. Può essere impugnato, dopo revocata l'interdizione, anche dalla persona che era interdetta.

L'azione non può essere proposta se, dopo revocata l'interdizione, vi è stata coabitazione per un anno.

Art. 120.
Incapacità di intendere o di volere.


Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.

L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali.



Art. 122.
Violenza ed errore.


Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.

Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge.

L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi:

1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale;

2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile;

3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;

4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;

5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell'articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine.

L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore.



Art. 123.
Simulazione.


Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti.

L'azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione medesima.

Art. 124.
Vincolo di precedente matrimonio.


Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio dell'altro coniuge; se si oppone la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

Art. 125.
Azione del pubblico ministero.


L'azione di nullità non può essere promossa dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi.

Art. 126.
Separazione dei coniugi in pendenza del giudizio.


Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d'ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti.

Art. 127.
Intrasmissibilità dell'azione.


L'azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell'attore.

Art. 128.
Matrimonio putativo.


Se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede, oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi.

Il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli. (1)

Se le condizioni indicate nel primo comma si verificano per uno solo dei coniugi, gli effetti valgono soltanto in favore di lui e dei figli.

Il matrimonio dichiarato nullo, contratto in malafede da entrambi i coniugi, ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, salvo che la nullità dipenda da incesto. (2)

Nell'ipotesi di cui al quarto comma, rispetto ai figli si applica l'articolo 251. (3)

(1) Comma così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

(2) Comma così modificato dall'art. 2, comma 1, lett. b),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

.(3) Comma così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. c),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014



Art. 129.
Diritti dei coniugi in buona fede.


Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni l'obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in proporzione alle sue sostanze, a favore dell'altro, ove questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.

Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica l'articolo 155.

Art. 129-bis.
Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo.


Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio, è tenuto a corrispondere all'altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L'indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. E' tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.

Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l'indennità prevista nel comma precedente.

In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell'indennità.

Capo IV
Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio


Art. 143.
Diritti e doveri reciproci dei coniugi.


Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.

Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.

Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.



Art. 143-bis.
Cognome della moglie.


La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.



Art. 144.
Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia


I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.

A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

Art. 145.
Intervento del giudice.


In caso di disaccordo ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l'intervento del giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi e, per quanto opportuno, dai figli conviventi che abbiano compiuto il sedicesimo anno, tenta di raggiungere una soluzione concordata.

Ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente e congiuntamente dai coniugi, adotta, con provvedimento non impugnabile, la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell'unità e della vita della famiglia.

Art. 146.
Allontanamento dalla residenza familiare.


Il diritto all'assistenza morale e materiale previsto dall'articolo 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuta di tornarvi.

La proposizione della domanda di separazione, o di annullamento, o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare.

Il giudice può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura atta a garantire l'adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 143, terzo comma, e 147.

Art. 147.
Doveri verso i figli (1)


Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 3, comma 1,D.Lgs. 23 dicembre 2013, n. 154, a decorrere

dal 7 febbraio 2014

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Art. 148.
Concorso negli oneri (1)


I coniugi devono adempiere l'obbligo di cui all'articolo 147, secondo quanto previsto dall'articolo 316-bis.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 4, comma 1,D.Lgs. 23 dicembre 2013, n. 154, a decorrere

dal 7 febbraio 2014

.

Capo V
Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi


Art. 149.
Scioglimento del matrimonio.


Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell'articolo 82, o dell' articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

Art. 150.
Separazione personale.


E' ammessa la separazione personale dei coniugi.

La separazione può essere giudiziale o consensuale.

Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l'omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi.

Art. 151.
Separazione giudiziale.


La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.

Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.





Art. 154.
Riconciliazione.


La riconciliazione tra i coniugi comporta l'abbandono della domanda di separazione personale già proposta.



Art. 155.
Provvedimenti riguardo ai figli (1)


 In caso di separazione, riguardo ai figli, si applicano le disposizioni contenute nel Capo II del titolo IX.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 5, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.





Art. 156.
Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.


Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.

L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.

Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti.

Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all'adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall'articolo 155.

La sentenza costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'articolo 2818.

In caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all'obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto. (1) (2) (3) (4)

Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.

(1) La Corte costituzionale con sentenza 31 maggio 1983, n. 144 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino a favore dei figli di coniugi consensualmente separati.
(2) La Corte Costituzionale con sentenza 19 gennaio 1987, n. 5 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che le disposizioni ivi contenute si applichino ai coniugi separati consensualmente.
(3) La Corte Costituzionale con sentenza 6 luglio 1994, n. 278 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare nel corso della causa di separazione il provvedimento di ordinare ai terzi debitori del coniuge obbligato al mantenimento di versare una parte delle somme direttamente agli aventi diritto.
(4) La Corte Costituzionale con sentenza 19 luglio 1996 n. 258 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore possa adottare nel corso della causa di separazione il provvedimento di sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato al mantenimento.


Art. 156-bis.
Cognome della moglie.


Il giudice può vietare alla moglie l'uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole, e può parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall'uso possa derivarle grave pregiudizio.

Art. 157.
Cessazione degli effetti della separazione.


I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l'intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.

La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.

Art. 158.
Separazione consensuale.


La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del giudice.

Quando l'accordo dei coniugi relativamente all'affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l'omologazione.



Capo VI
Del regime patrimoniale della famiglia


Sezione I
Disposizioni generali


Art. 159.
Del regime patrimoniale legale tra i coniugi.


Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo.

Art. 160.
Diritti inderogabili.


Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio.

Art. 161.
Riferimento generico a leggi o agli usi.


Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti.

Art. 162.
Forma delle convenzioni matrimoniali.


Le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità.

La scelta del regime di separazione può anche essere dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio.

Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, ferme restando le disposizioni dell'articolo 194.

Le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell'atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, ovvero la scelta di cui al secondo comma.

Art. 163.
Modifica delle convenzioni.


Le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l'atto pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni medesime, o dei loro eredi.

Se uno dei coniugi muore dopo aver consentito con atto pubblico alla modifica delle convenzioni, questa produce i suoi effetti se le altre parti esprimono anche successivamente il loro consenso, salva l'omologazione del giudice. L'omologazione può essere chiesta da tutte le persone che hanno partecipato alla modificazione delle convenzioni o dai loro eredi.

Le modifiche convenute e la sentenza di omologazione hanno effetto rispetto ai terzi solo se ne è fatta annotazione in margine all'atto del matrimonio.

L'annotazione deve inoltre essere fatta a margine della trascrizione delle convenzioni matrimoniali ove questa sia richiesta a norma degli articoli 2643 e seguenti.

Art. 164.
Simulazione delle convenzioni matrimoniali.


È consentita ai terzi la prova della simulazione delle convenzioni matrimoniali.

Le controdichiarazioni scritte possono aver effetto nei confronti di coloro tra i quali sono intervenute, solo se fatte con la presenza ed il simultaneo consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni matrimoniali.

Art. 165.
Capacità del minore.


Il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali, le quali sono valide se egli è assistito dai genitori esercenti la responsabilità  genitoriale su di lui o dal tutore o dal curatore speciale nominato a norma dell'articolo 90. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 6, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 166.
Capacità dell'inabilitato.


Per la validità delle stipulazioni e delle donazioni, fatte nel contratto di matrimonio dall'inabilitato o da colui contro il quale è stato promosso giudizio di inabilitazione, è necessaria l'assistenza del curatore già nominato. Se questi non è stato ancora nominato, si provvede alla nomina di un curatore speciale.

Art. 166-bis.
Divieto di costituzione di dote.


È nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione di beni in dote.

Sezione II
Del fondo patrimoniale


Art. 167.
Costituzione del fondo patrimoniale.


Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.

La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l'accettazione dei coniugi.

L'accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore.

La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio.

I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.

Art. 168.
Impiego ed amministrazione del fondo.


La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione.

I frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale sono impiegati per i bisogni della famiglia.

L'amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all'amministrazione della comunione legale.

Art. 169.
Alienazione dei beni del fondo.


Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente.

Art. 170.
Esecuzione sui beni e sui frutti.


La esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Art. 171.
Cessazione del fondo.


La destinazione del fondo termina a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l'amministrazione del fondo.

Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo.

Se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale.








Sezione III
Della comunione legale


Art. 177.
Oggetto della comunione.


Costituiscono oggetto della comunione:

a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;

b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;

c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;

d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.

Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.



Art. 178.
Beni destinati all'esercizio di impresa.


I beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa.

Art. 179.
Beni personali.


Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:

a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;

b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell'atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;

c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;

d) i beni che servono all'esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione;

e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;

f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all'atto dell'acquisto.

L'acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell'articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall'atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l'altro coniuge.



Art. 180.
Amministrazione dei beni della comunione.


L'amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi.

Il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi.



Art. 181.
Rifiuto di consenso.


Se uno dei coniugi rifiuta il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione o per gli altri atti per cui il consenso è richiesto, l'altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere l'autorizzazione nel caso in cui la stipulazione dell'atto è necessaria nell'interesse della famiglia o dell'azienda che a norma della lettera d) dell'articolo 177 fa parte della comunione.

Art. 182.
Amministrazione affidata ad uno solo dei coniugi.


In caso di lontananza o di altro impedimento di uno dei coniugi l'altro, in mancanza di procura del primo risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, può compiere, previa autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente da questo stabilite, gli atti necessari per i quali è richiesto, a norma dell'articolo 180, il consenso di entrambi i coniugi.

Nel caso di gestione comune di azienda, uno dei coniugi può essere delegato dall'altro al compimento di tutti gli atti necessari all'attività dell'impresa.

Art. 183.
Esclusione dall'amministrazione.


Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare ovvero se ha male amministrato, l'altro coniuge può chiedere di escluderlo dall'amministrazione.

Il coniuge privato dell'amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno determinato l'esclusione.

La esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto e permane sino a quando non sia cessato lo stato di interdizione.

Art. 184.
Atti compiuti senza il necessario consenso.


Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell'articolo 2683.

L'azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell'atto e in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione. Se l'atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l'azione non può essere proposta oltre l'anno dallo scioglimento stesso.

Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell'altro è obbligato su istanza di quest'ultimo a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell'equivalente secondo i valori correnti all'epoca della ricostituzione della comunione.



Art. 185.
Amministrazione dei beni personali del coniuge.


All'amministrazione dei beni che non rientrano nella comunione o nel fondo patrimoniale si applicano le disposizioni dei commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 217.

Art. 186.
Obblighi gravanti sui beni della comunione.


I beni della comunione rispondono:

a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell'acquisto;

b) di tutti i carichi dell'amministrazione;

c) delle spese per il mantenimento della famiglia e per l'istruzione e l'educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell'interesse della famiglia;

d) di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi.

Art. 187.
Obbligazioni contratte dai coniugi prima del matrimonio.


I beni della comunione, salvo quanto disposto nell'articolo 189, non rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio.

Art. 188.
Obbligazioni derivanti da donazioni o successioni.


I beni della comunione, salvo quanto disposto nell'articolo 189, non rispondono delle obbligazioni da cui sono gravate le donazioni e le successioni conseguite dai coniugi durante il matrimonio e non attribuite alla comunione.

Art. 189.
Obbligazioni contratte separatamente dai coniugi.


I beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, rispondono, quando i creditori non possono soddisfarsi sui beni personali, delle obbligazioni contratte, dopo il matrimonio, da uno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l'ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro.

I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione.

Art. 190.
Responsabilità sussidiaria dei beni personali.


I creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti.

Art. 191.
Scioglimento della comunione.


La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.

Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell'articolo 177, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall'articolo 162.

Art. 192.
Rimborsi e restituzioni.


Ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall'adempimento delle obbligazioni previste dall'articolo 186.

È tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all'articolo 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l'atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.

I rimborsi e le restituzioni si effettuano al momento dello scioglimento della comunione; tuttavia il giudice può autorizzarli in un momento anteriore se l'interesse della famiglia lo esige o lo consente.

Il coniuge che risulta creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. In caso di dissenso si applica il quarto comma. I prelievi si effettuano sul denaro, quindi sui mobili e infine sugli immobili.

Art. 193.
Separazione giudiziale dei beni.


La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.

Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell'amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell'altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.

La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.

La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l'effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato nella sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi.

La sentenza è annotata a margine dell'atto di matrimonio e sull'originale delle convenzioni matrimoniali.

Art. 194.
Divisione dei beni della comunione.


La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l'attivo e il passivo.

Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all'affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l'usufrutto su una parte dei beni spettanti all'altro coniuge.

Art. 195.
Prelevamento dei beni mobili.


Nella divisione i coniugi o i loro eredi hanno diritto di prelevare i beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione. In mancanza di prova contraria si presume che i beni mobili facciano parte della comunione.

Art. 196.
Ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare.


Se non si trovano i beni mobili che il coniuge o i suoi eredi hanno diritto di prelevare a norma dell'articolo precedente essi possono ripeterne il valore, provandone l'ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento o per altra causa non imputabile all'altro coniuge.

Art. 197.
Limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi.


Il prelevamento autorizzato dagli articoli precedenti non può farsi, a pregiudizio dei terzi, qualora la proprietà individuale dei beni non risulti da atto avente data certa. E' fatto salvo al coniuge o ai suoi eredi il diritto di regresso sui beni della comunione spettanti all'altro coniuge nonché sugli altri beni di lui.



Sezione IV
Della comunione convenzionale


Art. 210.
Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni.


I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, modificare il regime della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell'articolo 161.

I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell'articolo 179 non possono essere compresi nella comunione convenzionale.

Non sono derogabili le norme della comunione legale relative all'amministrazione dei beni della comunione e all'uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale.

Art. 211.
Obbligazioni dei coniugi contratte prima del matrimonio.


I beni della comunione rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio limitatamente al valore dei beni di proprietà del coniuge stesso prima del matrimonio che, in base a convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, sono entrati a far parte della comunione dei beni.

Art. 212. (1)

Sezione V
Del regime di separazione dei beni


Art. 215.
Separazione dei beni.


I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.




Art. 217.
Amministrazione e godimento dei beni.


Ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo.

Se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell'altro con l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto verso l'altro coniuge secondo le regole del mandato.

Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell'altro con procura senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell'altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati.

Se uno dei coniugi, nonostante l'opposizione dell'altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti.

Art. 218.
Obbligazioni del coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge.


Il coniuge che gode dei beni dell'altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell'usufruttuario.

Art. 219.
Prova della proprietà dei beni.


Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di un bene.

I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.

Art. 220

Sezione VI
Dell'impresa familiare


Art. 230-bis.
Impresa familiare.


Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all'impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi.

Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell'uomo.

Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.

Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice.

In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull'azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'articolo 732.

Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme.



Titolo VII
Dello stato di figlio


Capo I
Della presunzione di paternità


Art. 231.
Paternità del marito. (1)


Il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 8, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 232.
Presunzione di concepimento durante il matrimonio.


Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell'annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. (1)

La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente.

(1) Comma così sostituito dall'art. 9, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 233.

Art. 234.
Nascita del figlio dopo i trecento giorni.


Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, è stato concepito durante il matrimonio.

Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data di comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente.

In ogni caso il figlio può provare di essere stato concepito durante il matrimonio. (1)

(1) Comma così sostituito dall'art. 10, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014




Capo II
Delle prove della filiazione


Art. 236.
Atto di nascita e possesso di stato.


La filiazione si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile. (1)

Basta in mancanza di questo titolo il possesso continuo dello stato di figlio . (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 11, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 237.
Fatti costitutivi del possesso di stato.


Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgono a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.

In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti:

che il genitore abbia trattato la persona come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, all'educazione e al collocamento di essa.

che la persona sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali.

che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia. (1)

(1) Comma così sostituito dall'art. 12, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 238.
Reclamabilità di uno stato di figlio contrario a quello attribuito dall'atto di nascita. (1)


Salvo quanto disposto dagli articoli 128, 234, 239, 240 e 244, nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l'atto di nascita di figlio legittimo e il possesso di stato conforme all'atto stesso.(2)



(1) Rubrica così sostituito dall'art. 13, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

(2) Comma così modificato dall'art. 13, comma 1, lett. b),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014



Art. 239.
Reclamo dello stato di figlio. (1)


Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, il figlio può reclamare uno stato diverso.

L'azione di reclamo dello stato di figlio può essere esercitata anche da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti, salvo che sia intervenuta sentenza di adozione.

L'azione può inoltre essere esercitata per reclamare uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità da chi è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione e da chi fu iscritto in conformità di altra presunzione di paternità.

L'azione può, altresì, essere esercitata per reclamare un diverso stato di figlio quando il precedente è stato comunque rimosso.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 14, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 240.
Contestazione dello stato di figlio. (1)


Lo stato di figlio può essere contestato nei casi di cui al primo e secondo comma dell'articolo 239.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 15, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 241.
Prova in giudizio. (1)


Quando mancano l'atto di nascita e il possesso di stato, la prova della filiazione può darsi in giudizio con ogni mezzo.



(1) Rubrica così sostituita dall'art. 16, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.







Art. 243-bis.
Disconoscimento di paternità. (1)


L'azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.

Chi esercita l'azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.

(1) Articolo inserito dall'art. 17, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Capo III
Dell'azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio


Art. 244.
Termini dell'azione di disconoscimento. (1)


L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio ovvero dal giorno in cui è venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del marito al tempo del concepimento.

Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; se prova di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l'adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza.

Se il marito non si trovava nel luogo in cui è nato il figlio il giorno della nascita il termine, di cui al secondo comma, decorre dal giorno del suo ritorno o dal giorno del ritorno nella residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia.

Nei casi previsti dal primo e dal secondo comma l'azione non può; essere, comunque, proposta oltre cinque anni dal giorno della nascita.

L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio che ha raggiunto la maggiore età. L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni ovvero del pubblico ministero o dell'altro genitore, quando si tratti di figlio di età inferiore.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 18, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 245.
Sospensione del termine. (1)


Se la parte interessata a promuovere l'azione di disconoscimento di paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, la decorrenza del termine indicato nell'articolo 244 è sospesa nei suoi confronti, sino a che duri lo stato di interdizione o durino le condizioni di abituale grave infermità di mente.

Quando il figlio si trova in stato di interdizione ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, l'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del pubblico ministero, del tutore, o dell'altro genitore. Per gli altri legittimati l'azione può essere proposta dal tutore o, in mancanza di questo, da un curatore speciale, previa autorizzazione del giudice.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 19, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 246.
Trasmissibilità dell'azione. (1)


Se il presunto padre o la madre titolari dell'azione di disconoscimento di paternità sono morti senza averla promossa, ma prima che sia decorso il termine previsto dall'articolo 244, sono ammessi ad esercitarla in loro vece i discendenti o gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre, o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

Se il figlio titolare dell'azione di disconoscimento di paternità è  morto senza averla promossa sono ammessi ad esercitarla in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di un anno che decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e l'articolo 245.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 19, comma 2,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 247.
Legittimazione passiva.


Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento.

Se una delle parti è minore o interdetta, l'azione è proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

Se una delle parti è un minore emancipato o un maggiore inabilitato, l'azione è proposta contro la stessa assistita da un curatore parimenti nominato dal giudice.

Se il presunto padre o la madre o il figlio sono morti, l'azione si propone nei confronti delle persone indicate nell'articolo precedente o, in loro mancanza, nei confronti di un curatore parimenti nominato dal giudice.

Art. 248.
Legittimazione all'azione di contestazione dello stato di figlio. Imprescrittibilità. (1)


L'azione di contestazione dello stato di figlio spetta a chi dall'atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse. (2)

L'azione è imprescrittibile.

Quando l'azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell'articolo precedente.

Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori.

Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e il secondo comma dell'articolo 245. (3)

(1 ) Rubrica così sostituita dall'art. 20, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

(2) Comma così sostituito dall'art. 20, comma 1, lett. b),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

(3) Comma aggiunto  dall'art. 20, comma 1, lett. c),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 249.
Legittimazione all'azione di reclamo dello stato di figlio. Imprescrittibilità. (1)


L'azione per reclamare lo stato di figlio spetta al medesimo.

L'azione è imprescrittibile.

Quando l'azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell'articolo 247.

Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori.

Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e il secondo comma dell'articolo 245.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 21, comma 1, D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

 Capo IV
Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio

Art. 250. (1)
Riconoscimento.


Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall'articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all'epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.

Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni non produce effetto senza il suo assenso.

Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell'altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.

Il consenso non può essere rifiutato se risponde all'interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell'altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente, che fissa un termine per la notifica del ricorso all'altro genitore. Se non viene proposta opposizione entro trenta giorni dalla notifica, il giudice decide con sentenza che tiene luogo del consenso mancante; se viene proposta opposizione, il giudice, assunta ogni opportuna informazione, dispone l'audizione del figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore, ove capace di discernimento, e assume eventuali provvedimenti provvisori e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che l'opposizione non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice assume i provvedimenti opportuni in relazione all'affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell'articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell'articolo 262.

Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all'interesse del figlio.

Così sostituito dall’art. 1,L. 10 dicembre 2012, n. 219.

Art. 251. (1)
Autorizzazione al riconoscimento.


Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all'interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal giudice. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 22, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 252.
Affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore. (1)


Qualora il figlio nato fuori del matrimonio di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all'affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale. (2)

L'eventuale inserimento del figlio nato fuori del matrimonio nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all'interesse del minore e sia accertato il consenso dell'altro coniuge convivente e degli altri figli che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell'altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni cui ciascun genitore deve attenersi. (3)

Qualora il figlio sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia è subordinato al consenso dell'altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all'atto del matrimonio o l'altro coniuge conoscesse l'esistenza del figlio. (4)

È altresì richiesto il consenso dell'altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento. (5)

In caso di disaccordo tra i genitori, ovvero di mancato consenso degli altri figli conviventi, la decisione è rimessa al giudice tenendo conto dell'interesse dei minori. Prima dell'adozione del provvedimento, il giudice dispone l'ascolto dei figli minori che abbiano compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capaci di discernimento. (6)

(1) Rubrica così sostituita dall'art. 23, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 23, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così modificato dall'art. 23, comma 1, lett. c),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(4) Comma così modificato dall'art. 23, comma 1, lett. d),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(5) Comma così modificato dall'art. 23, comma 1, lett. e),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(6) Comma aggiunto dall'art. 23, comma 1, lett. f),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 253.
Inammissibilità del riconoscimento.


In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 24, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 254.
Forma del riconoscimento.


Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è fatto nell'atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile [o davanti al giudice tutelare] (1) o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo. (2)



(1) Parole soppresse dalD.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51.
(2) Comma così modificato dall'art. 25, comma 1, lett. a),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.


Art. 255.
Riconoscimento di un figlio premorto.


Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto, in favore dei suoi discendenti. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 26, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 256.
Irrevocabilità del riconoscimento.


Il riconoscimento è irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato.

Art. 257.
Clausole limitatrici.


È nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento.

Art. 258.
Effetti del riconoscimento.


Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso. (1)

L'atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all'altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto.

Il pubblico ufficiale che le riceve e l'ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da € 20 a € 82. Le indicazioni stesse devono essere cancellate.

(1) Il periodo: "salvo i casi previsti dalla legge." è stato così sostituito dall’art. 1,L. 10 dicembre 2012, n. 219.



Art. 262.
Cognome del figlio nato fuori del matrimonio. (1)


Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre. (2)

Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre. (3)

Se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi. (4)

Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l'assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. (5)

(1) Rubrica così modificata dall'art. 27, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 27, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così sostituito dall'art. 27, comma 1, lett. c),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(4) Comma inserito dall'art. 27, comma 1, lett. d),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(5) Comma così modificato dall'art. 27, comma 1, lett. e),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.



Art. 263.
Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.
 (1)

Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse.

L'azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

L'azione di impugnazione da parte dell'autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Se l'autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento è ammessa a provare di aver ignorato l'impotenza del presunto padre. L'azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall'annotazione del riconoscimento.

L'azione di impugnazione da parte degli altri legittimati deve essere proposta nel termine di cinque anni che decorrono dal giorno dall'annotazione del riconoscimento sull'atto di nascita. Si applica l'articolo 245.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 28, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 264.
Impugnazione da parte del figlio minore.
 (1)

L'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni, ovvero del pubblico ministero o dell'altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, quando si tratti di figlio di età inferiore.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 29, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 265.
Impugnazione per violenza.


Il riconoscimento può essere impugnato per violenza dall'autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata.

Se l'autore del riconoscimento è minore, l'azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell'età maggiore.

Art. 266.
Impugnazione del riconoscimento per effetto di interdizione giudiziale.


Il riconoscimento può essere impugnato per l'incapacità che deriva da interdizione giudiziale dal rappresentante dell'interdetto e, dopo la revoca dell'interdizione, dall'autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca.

Art. 267.
Trasmissibilità dell'azione.


Nei casi indicati dagli articoli 265 e 266, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia scaduto il termine, l'azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi.

Nel caso indicato dal primo comma dell'articolo 263, se l'autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l'azione, ma prima che sia decorso il termine previsto dal terzo comma dello stesso articolo, sono ammessi ad esercitarla in sua vece i discendenti o gli ascendenti, entro un anno decorrente dalla morte dell'autore del riconoscimento o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti. (1)

Se il figlio riconosciuto è morto senza aver promosso l'azione di cui all'articolo 263, sono ammessi ad esercitarla in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di un anno che decorre dalla morte del figlio riconosciuto o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti. (1)

La morte dell'autore del riconoscimento o del figlio riconosciuto non impedisce l'esercizio dell'azione da parte di coloro che ne hanno interesse, nel termine di cui al quarto comma dell'articolo 263. (1)

Si applicano il sesto comma dell'articolo 244 e l'articolo 245. (1)

(1) Comma aggiunto dall'art. 30, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 268.
Provvedimenti in pendenza del giudizio.


Quando è impugnato il riconoscimento, il giudice può dare, in pendenza del giudizio, i provvedimenti che ritenga opportuni nell'interesse del figlio.

Capo V
Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità


Art. 269.
Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.


La paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. (1)

La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.

La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.

La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 30, comma 2,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 270.
Legittimazione attiva e termine.


L'azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità è imprescrittibile riguardo al figlio. (1)

Se il figlio muore prima di avere iniziato l'azione, questa può essere promossa dai discendenti, entro due anni dalla morte. (2)

L'azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti.

Si applica l'articolo 245. (3)

(1) Comma così modificato dall'art. 31, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014
(2) Comma così modificato dall'art. 31, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014
(3) Comma aggiunto dall'art. 31, comma 1, lett. c),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014



Art. 273.
Azione nell'interesse del minore o dell'interdetto.


L'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall'articolo 316 o dal tutore. Il tutore però deve chiedere l'autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale. (1)

Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha compiuto l'età di quattordici anni. (2)

Per l'interdetto l'azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.

(1) Comma così modificato dall'art. 32, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014
(2) Comma così modificato dall'art. 32, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 274. (1)
Ammissibilità dell'azione.


L'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata.

Sull'ammissibilità il tribunale decide in camera di consiglio con decreto motivato, su ricorso di chi intende promuovere l'azione, sentiti il pubblico ministero e le parti e assunte le informazioni del caso. Contro il decreto si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello, che pronuncia anche essa in camera di consiglio.

L'inchiesta sommaria compiuta dal tribunale ha luogo senza alcuna pubblicità e deve essere mantenuta segreta. Al termine della inchiesta gli atti e i documenti della stessa sono depositati in cancelleria ed il cancelliere deve darne avviso alle parti le quali, entro quindici giorni dalla comunicazione di detto avviso, hanno facoltà di esaminarli e di depositare memorie illustrative.

Il tribunale, anche prima di ammettere l'azione, può, se trattasi di minore o di altra persona incapace, nominare un curatore speciale che la rappresenti in giudizio.

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza n. 50 del 10 febbraio 2006, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo.

Art. 276. (1)
Legittimazione passiva.


La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. (2)

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.

Così sostituito dall’art. 1,L. 10 dicembre 2012, n. 219.
(2) Comma così modificato dall'art. 33, comma 1,
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

.

Art. 277.
Effetti della sentenza.


La sentenza che dichiara la filiazione produce gli effetti del riconoscimento. (1)

Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l'affidamento, il mantenimento, l'istruzione e l'educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui. (2)

(1) Comma così modificato dall'art. 34, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014
(2) Comma così modificato dall'art. 34, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 278.
Autorizzazione all'azione. (1)


Nei casi di figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all'infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, l'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità non può essere promossa senza previa autorizzazione ai sensi dell'articolo 251.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 35, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014

Art. 279.
Responsabilità per il mantenimento e l'educazione.


In ogni caso in cui non può proporsi l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio nato fuori del matrimonio può agire per ottenere il mantenimento, l'istruzione e l'educazione. Il figlio nato fuori del matrimonio se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti a condizione che il diritto al mantenimento di cui all'articolo 315-bis, sia venuto meno. (1)

L'azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'articolo 251. (2)

L'azione può essere promossa nell'interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la responsabilità genitoriale. (3)

(1) Comma così modificato dall'art. 36, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014
(2) Comma così sostituito dall'art. 36, comma 1, lett. b),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014
(3) Comma così modificato dall'art. 36, comma 1, lett. c),
D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014









Titolo VIII
Dell'adozione di persone maggiori di età


Capo I
Dell'adozione di persone maggiori di età e dei suoi effetti.


Art. 291. (1)
Condizione.


L'adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che hanno compiuto gli anni trentacinque e che superano almeno di diciotto anni l'età di coloro che intendono adottare.

Quando eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale può autorizzare l'adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'età di trenta anni, ferma restando la differenza di età di cui al comma precedente.

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza n. 557 del 19 maggio 1988, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo, nella parte in cui non consente l’adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.



Art. 293.
Divieto d'adozione di figli. (2)


I figli non possono essere adottati dai loro genitori. (3)

(2) Rubrica così modificata dall'art. 37, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così modificato dall'art. 37, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.


Art. 294.
Pluralità di adottati o di adottanti.


È ammessa l'adozione di più persone, anche con atti successivi.

Nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo che i due adottanti siano marito e moglie.

Art. 295.
Adozione da parte del tutore.


Il tutore non può adottare la persona della quale ha avuto la tutela, se non dopo che sia stato approvato il conto della sua amministrazione, sia stata fatta la consegna dei beni e siano state estinte le obbligazioni risultanti a suo carico o data idonea garanzia per il loro adempimento.

Art. 296.
Consenso per l'adozione.


Per l'adozione si richiede il consenso dell'adottante e dell'adottando.



Art. 297.
Assenso del coniuge o dei genitori.


Per l'adozione è necessario l'assenso dei genitori dell'adottando e l'assenso del coniuge dell'adottante e dell'adottando, se coniugati e non legalmente separati.

Quando è negato l'assenso previsto dal primo comma, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell'adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando, pronunziare ugualmente l'adozione, salvo che si tratti dell'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del coniuge, se convivente, dell'adottante o dell'adottando. Parimenti il tribunale può pronunziare l'adozione quando è impossibile ottenere l'assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo.(1)

(1) Comma così modificato dall'art. 37, comma 2,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 298.
Decorrenza degli effetti dell'adozione.


L'adozione produce i suoi effetti dalla data del decreto che la pronunzia.

Finché il decreto non è emanato, tanto l'adottante quanto l'adottando possono revocare il loro consenso.

Se l'adottante muore dopo la prestazione del consenso e prima dell'emanazione del decreto, si può procedere al compimento degli atti necessari per l'adozione.

Gli eredi dell'adottante possono presentare al tribunale memorie e osservazioni per opporsi all'adozione.

Se l'adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell'adottante.

Art. 299.
Cognome dell'adottato.


L'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio.

Nel caso in cui la filiazione sia stata accertata o riconosciuta successivamente all'adozione si applica il primo comma. (1)

Se l'adozione è compiuta da coniugi l'adottato assume il cognome del marito.

Se l'adozione è compiuta da una donna maritata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei.

(1) Comma così sostituito dall'art. 38, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 300.
Diritti e doveri dell'adottato.


L'adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge.

L'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né tra l'adottato e i parenti dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge.



Art. 304.
Diritti di successione.


L'adozione non attribuisce all'adottante alcun diritto di successione.

I diritti dell'adottato nella successione dell'adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II.

Art. 305.
Revoca dell'adozione.


L'adozione si può revocare soltanto nei casi preveduti dagli articoli seguenti.

Art. 306.
Revoca per indegnità dell'adottato.


La revoca dell'adozione può essere pronunziata dal tribunale su domanda dell'adottante, quando l'adottato abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero se si sia reso colpevole verso loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni.

Se l'adottante muore in conseguenza dell'attentato la revoca dell'adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l'eredità in mancanza dell'adottato e dei suoi discendenti.

Art. 307.
Revoca per indegnità dell'adottante.


Quando i fatti previsti dall'articolo precedente sono stati compiuti dall'adottante contro l'adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui, la revoca può essere pronunciata su domanda dell'adottato.



Art. 309.
Decorrenza degli effetti della revoca.


Gli effetti dell'adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca.

Se tuttavia la revoca è pronunziata dopo la morte dell'adottante per fatto imputabile all'adottato, l'adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell'adottante.



Capo II
Delle forme dell'adozione di persone di maggiore età


Art. 311.
Manifestazione del consenso.


Il consenso dell'adottante e dell'adottando o del legale rappresentante di questo deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale nel cui circondario l'adottante ha residenza.



L'assenso delle persone indicate negli articoli 296 e 297 può essere dato da persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.



Art. 312.
Accertamenti del tribunale.


Il tribunale, assunte le opportune informazioni, verifica:

1) se tutte le condizioni della legge sono state adempiute;

2) se l'adozione conviene all'adottando.

Art. 313. (1)
Provvedimento del tribunale.


Il tribunale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione.

L'adottante, il pubblico ministero, l'adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione avanti la corte d'appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

(1) Articolo così sostituito dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.

Art. 314. (1)
Pubblicità.


La sentenza definitiva che pronuncia l'adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell'impugnazione, su apposito registro e comunicata all'ufficiale di stato civile per l'annotazione a margine dell'atto di nascita dell'adottato.

Con la procedura di cui al primo comma deve essere altresì trascritta ed annotata la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato.

L'autorità giudiziaria può inoltre ordinare la pubblicazione della sentenza che pronuncia l'adozione o della sentenza di revoca nei modi che ritiene opportuni.

(1) Articolo così sostituito dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.







Titolo IX
Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio


Capo I
Dei diritti e doveri del figlio


Art. 315. (1)
Stato giuridico della filiazione.


Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.

(1) L'articolo  è stato così sostituito dall'art. 1,L. 10 dicembre 2012, n. 219.

Art. 315-bis. (1)
Diritti e doveri del figlio.


Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.

Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.

(1) Articolo aggiunto dall’art. 1,L. 10 dicembre 2012, n. 219.

Art. 316.
Responsabilità genitoriale. (1)


Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.

In caso di contrasto su questioni di particolare importanza ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei.

Il giudice, sentiti i genitori e disposto l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell'interesse del figlio e dell'unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio.

Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l'esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.

Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 39, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 316-bis.
Impedimento di uno dei genitori. (1)


I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinchè possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l'inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell'obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all'altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione della prole.

Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.

L'opposizione è regolata dalle norme relative all'opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili.

Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione e la revoca del provvedimento.

(1) Articolo inserito dall'art. 40, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 317.
Impedimento di uno dei genitori.


Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l'esercizio della responsabilità genitoriale, questa è esercitata in modo esclusivo dall'altro. (1)

La responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio; il suo esercizio, in tali casi, è regolato dal capo II del presente titolo. (2)

(1) Comma così modificato dall'art. 41, comma 1, let. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così sostituito dall'art. 41, comma 1, let. b),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.


Art. 317-bis.
Rapporti con gli ascendenti. (1)


Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

L'ascendente al quale è impedito l'esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinchè siano adottati i provvedimenti più idonei nell'esclusivo interesse del minore. Si applica l'articolo 336, secondo comma.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 42, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 318.
Abbandono della casa del genitore.


Il figlio, sino alla maggiore età o all'emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 43, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.



Art. 320.
Rappresentanza e amministrazione.


I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli nati e nascituri , fino alla maggiore età o all'emancipazione, in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. (1)

Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell'articolo 316.

I genitori non possono alienare, ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni, procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni ultranovennali o compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare.

I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l'impiego.

L'esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l'autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Questi può consentire l'esercizio provvisorio dell'impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sulla istanza.

Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all'altro genitore. (2)

(1) Comma così modificato dall'art. 44, comma 1, lett. a) e b),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 44, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.


Art. 321.
Nomina di un curatore speciale. (1)


In tutti i casi in cui i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, non possono o non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio, eccedenti l'ordinaria amministrazione, il giudice, su richiesta del figlio stesso, del pubblico ministero o di uno dei parenti che vi abbia interesse, e sentiti i genitori, può nominare al figlio un curatore speciale autorizzandolo al compimento di tali atti.

(1) Articolo così modificato dall'art. 45, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 322.
Inosservanza delle disposizioni precedenti.(1)


Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli del presente titolo possono essere annullati su istanza dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa.

(1) Articolo così modificato dall'art. 46, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 323.
Atti vietati ai genitori.


I genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli non possono, neppure all'asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore. (1)

Gli atti compiuti in violazione del divieto previsto nel comma precedente possono essere annullati su istanza del figlio, o dei suoi eredi o aventi causa.

I genitori esercenti la responsabilità genitoriale non possono diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 47, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 324.
Usufrutto legale.


I genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune l'usufrutto dei beni del figlio, fino alla maggiore età o all'emancipazione. (2)

I frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all'istruzione ed educazione dei figli.

Non sono soggetti ad usufrutto legale:

1) i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro;

2) i beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione;

3) i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale o uno di essi non ne abbiano l'usufrutto: la condizione però non ha effetto per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima;

4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell'interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale. Se uno solo di essi era favorevole all'accettazione, l'usufrutto legale spetta esclusivamente a lui. (1)

(1) Comma così modificato dall'art. 48, comma 1, lett. a),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 48, comma 1, lett. a) e b),D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.




Art. 325.
Obblighi inerenti all'usufrutto legale.


Gravano sull'usufrutto legale gli obblighi propri dell'usufruttuario.

Art. 326.
Inalienabilità dell'usufrutto legale. Esecuzione sui frutti.


L'usufrutto legale non può essere oggetto di alienazione, di pegno o di ipoteca né di esecuzione da parte dei creditori.

L'esecuzione sui frutti dei beni del figlio da parte dei creditori dei genitori o di quello di essi che ne è titolare esclusivo non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Art. 327.
Usufrutto legale di uno solo dei genitori. (1)


Il genitore che esercita in modo esclusivo la responsabilità genitoriale è il solo titolare dell'usufrutto legale.

(1) Articolo così modificato dall'art. 49, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 328.
Nuove nozze.


Il genitore che passa a nuove nozze conserva l'usufrutto legale, con l'obbligo tuttavia di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione di quest'ultimo.

Art. 329.
Godimento dei beni dopo la cessazione dell'usufrutto legale.


Cessato l'usufrutto legale, se il genitore ha continuato a godere i beni del figlio convivente con esso senza procura ma senza opposizione, o anche con procura ma senza l'obbligo di rendere conto dei frutti, egli o i suoi eredi non sono tenuti che a consegnare i frutti esistenti al tempo della domanda.

Art. 330.
Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli. (2)


Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. (3)

In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. (1)

(1) Comma così modificato dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.
(2) Rubrica così modificata dall'art. 50, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(3) Comma così modificato dall'art. 50, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.



Art. 331. (1)

Art. 332.
Reintegrazione nella responsabilità genitoriale. (1)


Il giudice può reintegrare nella responsabilità genitoriale il genitore che ne è decaduto, quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio. (2)

(1) Rubrica così modificata dall'art. 51, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.
(2) Comma così modificato dall'art. 51, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.


Art. 333.
Condotta del genitore pregiudizievole ai figli.


Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. (1)

Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.

(1) Comma così modificato dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.

Art. 334.
Rimozione dall'amministrazione.


Quando il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui i genitori devono attenersi nell'amministrazione o può rimuovere entrambi o uno solo di essi dall'amministrazione stessa e privarli, in tutto o in parte, dell'usufrutto legale.

L'amministrazione è affidata ad un curatore, se è disposta la rimozione di entrambi i genitori.

Art. 335.
Riammissione nell'esercizio della amministrazione.


Il genitore rimosso dall'amministrazione ed eventualmente privato dell'usufrutto legale può essere riammesso dal tribunale nell'esercizio dell'una o nel godimento dell'altro, quando sono cessati i motivi che hanno provocato il provvedimento.

Art. 336.
Procedimento.


I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell'altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.

Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. (2)

In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio.

Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore[, anche a spese dello

Stato nei casi previsti dalla legge]. (1)

(1) Comma aggiunto dalla Legge 28 marzo 2001, n. 149.Successivamente le parole tra parentesi sono state abrogate dal D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113 e dalD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
(2) Comma così sostituito dall'art. 52, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.


Art. 336-bis.
Ascolto del minore. (1)


Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l'ascolto è in contrasto con l'interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all'adempimento dandone atto con provvedimento motivato.

L'ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all'ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'adempimento.

Prima di procedere all'ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell'ascolto. Dell'adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.

(1) Articolo inserito dall'art. 53, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337.
Vigilanza del giudice tutelare. (1)


Il giudice tutelare deve vigilare sull'osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l'esercizio della responsabilità genitoriale e per l'amministrazione dei beni.

(1) Articolo così modificato dall'art. 54, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.



Capo II
Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio.


Art. 337-bis.
Ambito di applicazione. (1)


In caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337- ter.
Provvedimenti riguardo ai figli. (1)


Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all'articolo 337-bis, il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l'affidamento familiare. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.

La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all'istruzione, all'educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio.
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.
4) le risorse economiche di entrambi i genitori.
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.


L'assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337-quater.
Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso. (1)


Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore.

Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l'affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l'affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell'articolo 337-ter. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell'interesse dei figli, rimanendo ferma l'applicazione dell'articolo 96 del codice di procedura civile.

Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337-quinquies.
Revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli. (1)


I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli, l'attribuzione dell'esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337-sexies.
Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza. (1)


Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643.

In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337-septies.
Disposizioni in favore dei figli maggiorenni. (1)


Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all'avente diritto.

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.

Art. 337-octies.
Poteri del giudice e ascolto del minore. (1)


Prima dell'emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all'articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d'ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all'ascolto se in contrasto con l'interesse del minore o manifestamente superfluo.

Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli.

(1) Articolo inserito dall'art. 55, comma 1,D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. n. 154, a decorrere dal 7 febbraio 2014.





Titolo IX-bis (1)
Ordini di protezione contro gli abusi familiari


(1) Titolo aggiunto dallaLegge 4 aprile 2001, n. 154.

Art. 342-bis.
Ordini di protezione contro gli abusi familiari.


Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d'ufficio,](1) su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter.

(1) Parole abrogate dallaLegge 6 novembre 2003, n. 304.

Art. 342-ter.
Contenuto degli ordini di protezione.


Con il decreto di cui all'articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.

Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno (1) a può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.

Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.

(1) Le parole:“sei mesi”sono state così sostituite dalle attuali:“un anno”dal Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11

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