CODICE ATECO 96.99.22, ESCORT, SEX WORK: TASSAZIONE, ASSISTENZA SANITARIA E PENSIONE
Il 01/04/2025 è entrato in vigore il nuovo codice Ateco 96.99.22 che viene riferito esplicitamente a “Servizi di incontro ed eventi simili”.
Il problema, si pone non tanto da un punto di legittimità, in quanto la prostituzione non è considerata illecito sotto alcun profilo, quanto per ciò che riguarda la mancata regolamentazione della materia per la quale lo Stato italiano si è sempre astenuto dopo l’emanazione della Legge Merlin.
LA REGOLAMENTAZIONE IN EUROPA
Prima di esaminare le problematiche sopra indicate è necessario fare un breve riepilogo della situazione in Europa, laddove singolarmente non esiste alcuna disciplina organica e le soluzioni proposte o succedutesi nel tempo, spesso sono diversificate anche in modo rilevante.
Si può dire sostanzialmente che i regimi normativi possono adottare una di queste quattro soluzioni:
a) Divieto totale
In questi Stati la prostituzione è vietata e in genere viene punito sia chi si vende, che il cliente.
Questa è la forma di regolamentazione giuridica che viene adottata nell’est europeo, tra cui la Russia, l’Ucraina, Albania, Croazia, Lituania, Montenegro, anche se poi non viene osservata con alcuna rigidità
b) Modello svedese
Accanto al modello cosiddetto proibizionista vi sono alcuni Stati che hanno variato la precedente disciplina liberistica, legiferando con il cosiddetto modello svedese, adottato nel 1999 in Svezia e successivamente in Norvegia, Islanda e Francia.
Sotto questo profilo viene criminalizzato soltanto il cliente, il quale viene punito per l’utilizzazione delle prestazioni a pagamento.
In sostanza il principio su cui si basa tale orientamento legislativo è quello per cui la prostituzione costituirebbe comunque una violenza contro la donna, anche se questa decide di svolgere la propria attività autonomamente e con piena consapevolezza.
Tale orientamento in realtà è stato contestato dalle Associazioni di categoria delle escort in quanto ovviamente limita l’attività e viola il libero arbitrio, creando rischi e problematiche proprio nella clientela che potrebbe subire sanzioni penali.
c) Accettazione del fenomeno, ma senza regolamentazione
Questo è il sistema che viene utilizzato dalla maggior parte degli Stati europei.
Lo Stato prende atto della situazione e del fenomeno, ma non intende intervenire con una normativa specifica, salve le sanzioni per lo sfruttamento, il favoreggiamento, etc.
In sostanza lo Stato si limita a prendere atto del fenomeno non punendo, né chi si prostituisce, né il cliente.
Tale è la situazione in quasi tutti gli Stati europei, inclusa l’Italia.
d) Accettazione e regolamentazione normativa
Questa è la soluzione, viceversa, prescelta dalla Germania, dalla Turchia, dall’Austria, Svizzera, Grecia, Ungheria, Belgio e Paesi Bassi, nei quali lo Stato interviene in modo specifico e normativo, regolamenta l’attività, statuisce e disciplina i luoghi e le modalità, si occupa dei controlli sanitari obbligatori e regolamenta, anche sotto l’aspetto fiscale e assicurativo, l’attività di chi vende le prestazioni, punendo ovviamente anche in questo caso lo sfruttamento, l’induzione o il favoreggiamento.
LA NORMATIVA FISCALE DOPO IL CODICE ATECO
Attualmente con l’inserimento del codice Ateco, ci si avvicina almeno parzialmente alla regolamentazione del fenomeno, anche se non con una normativa specifica.
E’ possibile dunque ora anche per i lavoratori e le lavoratrici del sesso regolarizzare la posizione fiscale con obbligo di aprire la partita iva, optare per il regime ordinario o forfettario, emettere la fattura e adempiere agli obblighi contributivi e fiscali previsti dall’Inps e dall’Agenzia delle Entrate.
Ciò almeno su un piano teorico.
Ricordiamo peraltro sotto il profilo fiscale che, già la Cassazione nel 2016 con la sentenza 22413 aveva modificato il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale lo Stato non poteva trarre utili dalla prostituzione, in quanto, secondo tale antico orientamento, la somma versata dal cliente al soggetto che vendeva le proprie prestazioni fisiche, costituiva un risarcimento del danno che la prostituta subiva nel sottostare alla prestazione stessa.
Poiché si trattava di un risarcimento, questo non poteva essere tassato in quanto il ristoro non costituiva un utile per il soggetto che si prostituiva.
Con la sentenza della Corte Suprema sopra indicata, viceversa, la situazione cambiava ulteriormente a fronte delle osservazioni per cui, determinati soggetti, arrivavano a patrimoni davvero rilevanti e peraltro totalmente esenti da ogni trattenuta fiscale.
La Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza sopra citata e numerose altre successive, rilevava come l’attività svolta dai soggetti che si prostituivano, generasse comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, che non poteva ridursi, data la continuità delle prestazioni e dei redditi ad un semplice “risarcimento del danno”.
Il reddito derivante dall’attività di prostituzione, se effettuata in maniera abituale, secondo la Suprema Corte dunque va tassato ed è soggetto anche all’ Iva.
Tali decisioni facevano seguito peraltro ad un indirizzo analogo in sede europea, che riconosceva l’attività di prostituzione come una prestazione retribuita rientrante nella nozione di attività economica e configurabile come lavoro autonomo, sempre ovviamente in assenza di induzione o costrizione.
Dunque, su un piano prettamente formale con l’introduzione del codice Ateco, i lavoratori del settore sono in grado di regolarizzare la posizione fiscale aprendo la Partita Iva, optando per il regime ordinario o forfettario, emettendo le fatture e procedendo al pagamento anche degli obblighi contributivi.
Tutto questo da un punto di vista, si diceva, meramente teorico, in quanto è regola di comune esperienza che il cliente, il quale si rivolge ad un soggetto che si prostituisce, pretende la riservatezza e quindi non ha alcun interesse a che il proprio nominativo risulti da fatture, libri contabili, o peggio dai tabulati dell’Agenzia delle Entrate.
ASPETTO PREVIDENZIALE E SANITARIO
La questione non è di poco conto e ha trovato più volte decisioni non conformi sotto questo tale profilo.
Bisogna innanzitutto far riferimento alla situazione oggettiva per cui un soggetto che si prostituisca può effettuare tale attività per un tempo limitato della propria vita, per evidenti motivi fisiologici.
Dunque l’attività può essere svolta per un periodo limitato e i contributi possono essere versati sempre per tale periodo ridotto.
Di contro l’Inps, ai fini del trattamento pensionistico, prevede espressamente due caratteristiche, l’uno il raggiungimento di una determinata età e l’altro un numero di anni di contribuzione minima.
Di norma, per poter andare in pensione è necessario aver versato i contributi per 15 o 20 anni.
Tuttavia per talune categorie (sportivi, calciatori, attori e simili e cioè per le categorie nelle quali l’attività può essere esercitata per un periodo ridotto della propria vita), i requisiti per accedere alla pensione anticipata si raggiungono al 54° anno di età con 20 anni di contributi, ovvero in altri casi, se il calciatore non ha maturato i 20 anni è comunque previsto il pensionamento a 71 anni con almeno 5 anni di contributi.
Dunque, anche per le (o gli) escort la categoria chiede una equiparazione a simili regolamentazioni normative e previdenziali, dovendo tener conto della situazione psicofisica oggettiva che non permette l’attività lavorativa se non per un periodo limitato.
Un altro problema è quello che riguarda l’assistenza sanitaria, laddove i lavoratori autonomi non sono automaticamente coperti, come avviene per i lavoratori dipendenti, ma hanno diverse opzioni per tutelarsi in caso di malattia, in genere previste dalle associazioni professionali di categoria, che nel caso in esame non esistono.
In più va detto che, nel caso specifico, e cioè relativamente all’attività fisica del soggetto che si prostituisce, sussistono esigenze di assistenza sanitaria specifica e particolare, che non esiste e che pure andrebbe regolamentata normativamente.
LA QUESTIONE DEL PERMESSO DI SOGGIORNO
Per iniziare una propria attività lavorativa o professionale anche per gli stranieri extraUE è previsto un apposito permesso di soggiornoper lavoro autonomo rilasciato per chi svolge attività imprenditoriali o professionali.
Apparentemente dunque, in assenza di una normativa specifica, entrambi i soggetti, (cittadini all’interno della UE ed all’esterno della UE con permesso di soggiorno), dovrebbero avere gli stessi diritti, compreso quello di prostituirsi.
In realtà la situazione è nettamente diversa, in quanto in più occasioni, i Tribunali Amministrativi ed il Consiglio di Stato hanno confermato i provvedimenti di revoca del permesso di soggiorno rilasciato dalla Questura.
Secondo l’orientamento attuale l’esercizio della prostituzione, nonostante non sia considerata reato nel territorio nazionale, legittima la revoca del permesso di soggiorno per motivi di sicurezza ed ordine pubblico, sul presupposto che comunque si tratta di un’attività moralmente riprovevole.
La questione è andata più volte all’esame del Consiglio di Stato e tale Organo di Giustizia ha tuttavia stabilito, con valutazioni giuridiche molto discutibili, che, l’esercizio della prostituzione, pur non essendo considerato illegale, nondimeno debba considerarsi un’attività non lecita, giustificando la revoca del permesso di soggiorno stesso.
Il ragionamento del Consiglio di Stato, non particolarmente convincente dal momento che introduce una disparità di trattamento notevole fra un cittadino UE ed uno Extra UE, che svolge la medesima attività, ritiene che la revoca del permesso di soggiorno sia legittima in quanto, fermo restando che l’attività non costituisce alcun reato, né per chi la esercita, né per chi la richiede, tuttavia debba considerarsi contraria al buoncostume e all’ordine pubblico.
Conseguentemente può essere considerata un pericolo per la sicurezza della Stato.
Le motivazioni degli organi di Giustizia Tributaria sono in genere univoche in tal senso, ritenendo come detto, da un lato, che la prostituzione non è considerata un’attività lavorativa lecita in Italia.
Secondariamente che l’esercizio della prostituzione può essere collegato ad altre attività criminali, rendendo lo straniero potenzialmente pericoloso per la sicurezza e per l’ordine pubblico.
Ciò anche se lo straniero abbia ottenuto il permesso di soggiorno per integrazione sociale, in quanto l’esercizio di prostituzione ne fa decadere i presupposti, considerando l’attività incompatibile con le finalità del programma e d’altro lato la stessa attività di prostituzione fa presumere che lo straniero non soddisfi più le condizioni che hanno giustificato il rilascio del permesso di soggiorno, non essendo questi più in grado di dimostrare il mantenimento con un’attività lecita.