Contrordine del Consiglio di Stato: la separazione si fa al comune, anche se c'è l'assegno di mantenimento

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Quarto ripensamento, questa volta da parte del Consiglio di Stato sulla vexata quaestio della separazione diretta dei coniugi avanti all’Ufficiale dello Stato Civile, anche nell’ipotesi in cui sia previsto un assegno di mantenimento.

LA SEPARAZIONE DAVANTI ALL’UFFICIALE DELLO STATO CIVILE
E’ la quarta volta che torniamo sull’argomento, non per un disturbo della personalità dell’autore, ma perché nella disputa tra il legislatore, il Ministro degli Interni, Il Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, le Associazione sul diritto di famiglia ed il Consiglio di Stato ogni volta, l’organo intervenuto in seguito ribalta di 180 gradi la decisione del precedente.

LA QUESTIONE DI CUI SI CONTROVERTE
Il D.L. n° 132 del 12/09/2014 convertito nella legge 162/14, tra l’altro prevedeva alcune nuove forme di separazione e di divorzio in modo semplificato mediante il nuovo istituto della “negoziazione assistita” ed ancora in alcune limitate ipotesi, con la domanda diretta dei coniugi, anche senza il ministero degli avvocati, rivolgendosi dell’Ufficiale dello Stato Civile.

Dunque la nuova disciplina, accanto allo strumento della “convenzione di negoziazione assistita” mediante i legali con la quale possono essere stabilite qualsiasi condizioni nella separazione e nel divorzio, (affidamento dei figli, collocamento, responsabilità genitoriale, assegnazione della casa, determinazione del mantenimento per moglie e figli, trasferimento di proprietà per immobili e beni, ecc.), ha previsto altresì una procedura semplificata la quale consente ai coniugi, di percorrere, in alternativa alla tradizionale strada della tutela giurisdizionale una via da loro stessi gestita con la semplice domanda al Comune ove è stato celebrato il matrimonio.
Ciò tuttavia è possibile soltanto allorché non sussistano figli minori o maggiorenni non autonomi e con l’ulteriore limitazione per cui “l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale”.

LE VARIE INTERPRETAZIONI SUCCEDUTESI NEL TEMPO
Inizialmente il Ministero dell’Interno ha ritenuto che questa ultima dizione andasse intesa nel senso di precludere ai coniugi di avvalersi della procedura semplificata avanti all’Ufficio dello stato civile allorché sussistevano previsioni di assegni di mantenimento o divorzili.
Successivamente il Ministero rivedendo l’ambigua formulazione dettata dalla normativa riteneva che con la dizione “patti di trasferimento patrimoniale” il legislatore intendesse riferirsi soltanto a trasferimenti di immobili o di beni e non all’assegno di mantenimento o divorzile.
Conseguentemente diveniva possibile separarsi o divorziare anche prevedendo il mantenimento o un assegno divorzile.

INTERVENTO DEL TAR LAZIO
Avverso tale interpretazione, si pronunciava il TAR Lazio accogliendo il ricorso di alcune associazioni a tutela della famiglia rilevando sostanzialmente che, lasciare al libero arbitrio delle parti, senza l’assistenza di un legale la determinazione di un assegno avrebbe comportato che, la parte più debole, nell’ignoranza della legge, o comunque dei propri diritti, avrebbe finito per soccombere su un punto di estrema importanza come appunto quella di un assegno a favore di un coniuge ed a carico dell’altro e soprattutto della sua entità.
Il TAR Lazio dunque con sentenza n° 7813 del 07/07/2016 accoglieva (modificando per la terza volta l’interpretazione della norma) il ricorso delle associazione per la tutela della famiglia, ritenendo che fossero ammissibili separazioni e divorzi avanti all’Ufficiale dello stato civile senza l’assistenza degli avvocati, solo nelle ipotesi in cui non sussisteva alcuna previsione economica a carico di un coniuge nei confronti dell’altro.

IL CONSIGLIO DI STATO: LA QUARTA INTERPRETAZIONE
Il Consiglio di Stato riformava totalmente la decisione del TAR non accettando l’interpretazione del giudice di I grado, secondo la quale un soggetto più debole potrebbe essere di fatto costretto ad accettare condizioni patrimoniali inique imposte dalla controparte più forte.
Il Giudice d’Appello infatti con la sentenza n° 4478 del 26/10/2016 non è stato di questa opinione mutando appunto per la quarta volta l’interpretazione della norma e precisando che ora ci si può separare avanti al Sindaco o all’Ufficiale di Stato Civile del Comune anche se i coniugi hanno previsto il pagamento di un assegno di mantenimento o divorzile.
Il Consiglio di Stato per l’esattezza ha ritenuto come non sia condivisibile l’opinione del TAR laddove “il coniuge economicamente più forte non ha un diritto potestativo alla conclusione della procedura semplificata di cui all’art. 12 del D.L. n° 132/14 né può costringere quello più debole ad un accordo davanti all’ufficiale dello Stato Civile”, così autorizzando le pattuizioni stabilite dai coniugi anche senza l’assistenza di un legale o in presenza di obbligazioni di natura economica.

SCARSA ADERENZA ALLA REALTA’
Appariva molto più condivisibile la decisione del Tar Lazio, laddove il Consiglio di Stato non ha considerato che la determinazione di un assegno di mantenimento o divorzile e la sua entità non possono essere lasciati semplicemente alla decisione degli ex coniugi, laddove, spesso nella necessità di troncare il più velocemente possibile il rapporto, si è disposti a firmare qualsiasi pattuizione anche tra le più vessatorie. Né si è tenuto conto di tutte le conseguenze che le varie normative succedutesi nel tempo collegano all’assegno (diritto ad ipotecare i beni dell’obbligato, sottoposizione all’esecuzione forzata o ad un processo penale per inadempimento, pensione di reversibilità, diritto a parte del TFR, possibili azioni avverso gli eredi, etc.). Già è stato un azzardo eliminare il colloquio con il magistrato e rimettere le questioni ai soli avvocati nella negoziazione assistita, ma lo è molto di più eliminare anche la figura dei difensori e lasciare gli ex coniugi da soli nel firmare accordi che possono pregiudicare tutta la loro successiva esistenza.

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