Trentacinquenne poco studioso perde il mantenimento

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…..ma anche chi studia troppo a lungo . Continua l’incertezza della giurisprudenza sul momento in cui il genitore non è più tenuto al mantenimento dei figli maggiorenni incollocati al lavoro .

Con due recenti decisioni, la Corte Suprema è tornata sull’argomento del dies ad quem in cui può considerarsi cessato l’obbligo del genitore di continuare a versare denaro per il mantenimento dei figli.Tuttavia una enorme incertezza è ravvisabile nelle sentenze che privilegiano ora l’uno ora l’altro aspetto ed emettono decisioni spesso contrastanti anche nell’ambito dello stesso Tribunale.

Se non studia o studia troppo
La prima questione di cui si è occupata la Cassazione con la decisione n. 12952 depositata il 22/06/2016 è sostanzialmente molto simile a tante altre.
Il Tribunale di Bari emetteva una sentenza con il quale revocava l’assegno mensile di poco meno di € 1.000,00 posto a carico del marito in favore dei due figli maggiorenni a seguito della sentenza di divorzio.

Ciò sul presupposto che entrambi erano sostanzialmente autonomi, l’una laureata ed abilitata alla professione di odontoiatra, continuava a frequentare corsi di perfezionamento, mentre l’altro figlio non seguiva più i corsi universitari ed ormai ultratrentenne neanche mostrava di attivarsi per la ricerca di un posto di lavoro.

Avverso tale sentenza proponeva impugnazione la madre rilevando che vi era stata un’inversione dell’onere della prova nel senso che doveva essere il padre a dimostrare l’autonomia economica dei figli e richiedeva alla Corte d’Appello che venisse ripristinato l’assegno per entrambi, assegno che andava anzi raddoppiato (ormai in Tribunale si assiste a pretese economiche in stile U.S.A.) tenuto conto delle capacità economiche del padre.

La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione, condannava il padre a versare gli assegni di mantenimento per i figli, ma nella cifra originaria senza alcun aumento.

Ricorreva per Cassazione il padre ritenendo la sentenza profondamente ingiusta in quanto l’obbligo genitoriale di mantenimento dei figli maggiorenni persiste finché il genitore interessato dimostri che i figli abbiano raggiunto l’indipendenza economica, (da intendersi quale reperimento di uno stabile lavoro che consenta loro un tenore di vita adeguato e dignitoso), ovvero allorchè essi siano stati posti nelle concrete condizioni per essere autosufficienti.

Nel caso specifico il figlio maschio, da prima iscrittosi al corso di laurea in economica e commercio, cambiava indirizzo di studi iscrivendosi al corso di laurea in fisioterapia, senza peraltro conseguire il relativo diploma, si iscriveva ancora ad un corso di formazione professionale in osteopatia, interrompeva la frequenza anche a questo corso ed in sostanza appariva inoperoso e priva di qualunque diligenza negli studi.

Quanto alla ragazza, laureata in odontoiatria, era pacifico che avesse maturato esperienze lavorative presso vari studi odontoiatrici e quindi la partecipazione ai corsi di specializzazione non la esimeva dal prestare attività lavorativa facilmente reperibile secondo la qualifica raggiunta e la situazione di mercato. Ciò senza contare l’età ormai avanzata del genitore.

Il parassitismo sui genitori sempre più anziani

La Corte di Cassazione riteneva che il padre avesse ragione.
Infatti, pur considerando che ogni situazione vada esaminata caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari, non vi era dubbio che andava escluso l’obbligo assistenziale sul piano giuridico, allorché la protrazione del mantenimento superava ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, come si era già espressa in precedenza la Corte, in forme di parassitassimo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani.

È vero che il giudice non può prefissare in astratto un termine finale di persistenza dell’obbligo di mantenimento ed il genitore obbligato è tenuto ad allegare, ove sia contestato, e dimostrare anche in via presuntiva di aver posto il figlio nelle condizioni di raggiungere l’indipendenza economica sfruttando al meglio le capacità e le competenze acquisite in sintonia con le sue aspirazioni e la sua attitudine.
Tuttavia l’avanzare dell’età dei genitori non può essere ininfluente rapportando tale circostanza al raggiungimento di un età dei figli nella quale il percorso formativo e degli studi, nella normalità dei casi è ampiamente concluso.

Conseguentemente la mancanza di sufficienza economica reddituale in assenza di ragioni individuali specifiche, (di salute o dovute ad altre cause contingenti personali ed oggettive quali difficoltà di reperimento e di conservazione dell’occupazione) costituisce un indicatore di inerzia colpevole.
Dunque andava revocato l’assegno ad entrambi i figli.
…. ma se la figlia studia il padre deve mantenerla anche fuori sede

In senso favorevole alla madre viceversa è l’ordinanza di pochi giorni precedente (la n. 12013 del 10/06/2016) con la quale la Cassazione confermava la sentenza sia del Giudice di Pace che del Tribunale di Matera, con la quale il marito era stato condannato a pagare la somma di poco meno di € 4.000,00 corrispondenti al 50% delle spese straordinarie universitarie e mediche sostenute per la figlia.

Il marito si opponeva dichiarando che era stato sempre contrario a mandare la figlia a studiare fuori sede (da Bari a Milano) ed aveva espresso anche per iscritto il proprio dissenso.
Conseguentemente la moglie non poteva decidere unilateralmente. Comunque in caso di mancato accordo, egli doveva essere esentato dal costo degli studi fuori sede rispetto quelli che avrebbe sostenuto la figlia a Bari.

La Suprema Corte confermava le decisioni dei giudici precedenti.
Rilevava infatti come fosse pacifico che il marito, pur consultato sulla scelta della figlia di effettuare gli studi universitari a Milano anziché a Bari, avesse espresso parere negativo.

La questione era quindi incentrata sul dubbio in diritto, se la moglie che intendesse sostenere spese straordinarie per la figlia, nel disaccordo del marito, prima di sostenerle si sarebbe dovuta rivolgere al giudice ovvero se avesse potuto provvedervi direttamente e poi richiedere il rimborso.
Quest’ultima interpretazione è quella, ritiene la Cassazione, che appare più in linea con la giurisprudenza in materia di diritto al rimborso delle spese straordinarie effettuate dal coniuge collocatario.
Ciò alla luce del principio generale della tutela del superiore interesse del minore o del figlio maggiorenne non autonomo.

Infatti la giurisprudenza ha chiarito come non sia configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie e non vi sia altrettanto dubbio sul fatto che il marito non possa opporsi a tali oneri, se questi rispondano all’interesse della prole ed ovviamente se egli abbia materialmente la possibilità economica di parteciparvi.


Allorché sussistano entrambe tali caratteristiche, l’obbligato è tenuto a concorrere a tali oneri senza che possa eccepire il proprio dissenso e senza che, per queste spese sia necessario il parere favorevole di entrambi i genitori ed in mancanza quello preventivo del Tribunale.


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